«Mi chiedo se ho fatto bene o male. Mi chiedo se ne è valsa la pena abbandonare il mio Paese per salvare la mia famiglia per poi veder morire tra le braccia la mia bambina, Raghad, che il 21 agosto prossimo avrebbe compiuto 12 anni. È morta perché quei bastardi di trafficanti, quando ci hanno infilato nel barcone verso l’Italia hanno buttato in mare, senza motivo, lo zainetto con l’insulina che sarebbe servita a Raghad per il diabete». Sono queste le parole, rilasciate a Repubblica, di Mohamed Hasoun Jalal, padre 48 enne laureato in economia e costretto a lasciare il proprio Paese (Siria) per garantire un futuro sicuro alla sua famiglia. L’uomo aveva pensato di non partire più viste le condizioni di viaggio che si prospettavano, ma è stato costretto con le armi a imbarcarsi: la figlia, a causa della mancanza di insulina, è morta dopo poche ore di viaggio. Su consiglio di un Imam, una volta fatti i dovuti rituali funebri, il piccolo corpo senza vita è stato gettato in mare. Gli scafisti responsabili sono successivamente stati arrestati.
Morire nel proprio Paese, in un altro o in mare è uguale, alla fine si perde comunque la vita. Non è la prima di queste storie e forse, purtroppo, non sarà l’ultima. La storia di Jalal è simile a quella di tanti altri immigrati: si lascia il proprio Paese per un altro, quando si capisce che la vita è comunque dura, si sceglie di tentare il tutto per tutto e partire alla volta dell’Europa. L’Italia è solo il punto di approdo più vicino: Mohamed in primis vuole, tutt’ora, andare in Germania da parenti. Non esiste alcun genere di ripensamento: chi entra in contatto con i c.d. trafficanti di uomini non ne esce più, se non alla fine del viaggio. Minacce con le armi, crudeltà su bambini e donne incinte, mancanza di scrupoli (buttano anche gente in mare pur di alleggerire la barca, se troppo carica) e quant’altro sono le caratteristiche che tratteggiano l’identikit di questi soggetti. Gli scafisti hanno la loro base principale a Zuwara, in Libia al confine con la Tunisia e usano imbarcazioni da pesca, dunque non adibite all’imbarco di enormi quantitativi di persone. È il giornalista del Guardian Patrick Kingsley a svelare per primo tutti questi retroscena. Più volte l’Unione Europea ha dichiarato di voler risolvere il problema: tuttavia, secondo quanto riportato da Kingsley, per smantellare il traffico di Zuwara servirebbe un bombardamento a tappeto sul porto. Un trafficante ha dichiarato: «Una delle ragioni per cui il pesce libico è così costoso è la mancanza di pescherecci che vadano in mare a pescare. Sono usati tutti dai trafficanti di persone»; ha poi continuato mettendo in mostra la facilità dell’operazione: «Nessuno ha la scritta “trafficante” sul petto. Chiunque qui può vendere il suo appartamento, comprare una barca e organizzare un viaggio fino all’altra parte del Mediterraneo. Il tempo di organizzare il secondo viaggio e ha già recuperato il costo dell’appartamento venduto. È una formula molto semplice».
L’operazione militare dell’UE è impossibile non solo per problemi d’invasione delle acque territoriali libiche, ma anche per altri ordini di ragione. I trafficanti hanno basi in tutto il Nord Africa, e qualora il Mediterraneo si rivelasse impraticabile, c’è sempre il Mar Rosso una volta attraversato il Sahara. Molti migranti arrivano dall’Africa Centrale e attraversano percorsi sorvegliati al 100% dai trafficanti. I costi per lasciare il continente africano dipendono dalla provenienza del migrante e quanta garanzia vuole avere. Tuttavia, come nel caso sopra citato, a volte questa garanzia manca a prescindere: durante le traversate capita che non tutti arrivino alla barca o che durante la navigazione alcuni vengano gettati in mare. I trafficanti, infatti, a volte abbandonano gli uomini a marcire tra le dune del deserto, o ancora, li riducono in schiavitù. Una volta giunti alle spiagge, si parte: alcuni usano persino i gommoni Zodiac. Viste le continue richieste, i guadagni di questi criminali possono arrivare tranquillamente a 700.000€ al mese. I migranti sono forzati ad abbandonare le loro abitazioni con la maggior parte dei loro averi e tutti vengono poi scortati in un luogo, a detta degli scafisti, sicuro; qui devono aspettare il momento del loro imbarco (possono anche volerci giorni). Gli stessi, previa corruzione della Guardia Costiera Libica, durante la notte vengono fatti salire a bordo delle imbarcazioni e partono muniti di un telefono satellitare, un localizzatore GPS e dei salvagenti al costo di 5€ cadauno, del cibo e dell’acqua. Devono stare rigorosamente fermi, ci si può solo alzare ogni tanto: troppo caos potrebbe far ribaltare la barca. Gli scafisti sono quasi sempre armati e il capitano della nave raramente è lo stesso che guida la migrazione fino alla Libia. Per la paura di essere catturati dalla Guarda Costiera italiana, i passeggeri, tutti clandestini, sono fatti sbarcare un po’ prima della costa; alcuni, non sapendo nuotare, muoiono annegati. Gli obiettivi, in genere, non sono tanto l’arrivare alle coste infatti, ma far intervenire navi mercantili vicine o comunque le Forze Armate del luogo per portare in salvo il “carico”. Gli scafisti, inoltre, non sono a conoscenza dei piani dell’Italia per quanto concerne l’immigrazione clandestina. Anche Malta è interessata dal fenomeno.
Il Premier Maltese Joseph Muscat avrebbe detto al riguardo, secondo quanto riporta Repubblica: «Ora è il momento che l’Europa faccia squadra. Gli scafisti non sono dilettanti, ma criminali organizzati». Donald Tsusk, Presidente del Consiglio Europeo, ha invece twittato quanto segue: «Ho deciso di convocare un consiglio europeo straordinario questo giovedì per affrontare la situazione nel Mediterraneo». Per quanto riguarda l’Italia vi sono diversi pensieri inerenti ai modi di agire: se il leader della Lega Nord Matteo Salvini, inneggia al blocco navale, il Premier italiano Matteo Renzi parla di blocchi mirati agli scafisti. E se il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, chiedendo aiuto all’Europa, come unica risposta, a oggi, ottiene soltanto la convocazione di un consiglio speciale, l’unica consolazione che resta è il fatto che il problema sia giunto persino alla Casa Bianca. Il suo portavoce John Earnest ha parlato di preoccupazione per questa insostenibile situazione che parte dalla Libia e si riversa sull’Italia e ha dichiarato massimo impegno diplomatico per trovare una soluzione. Le armi restano la sola risorsa ultima, anche se alcuni non la pensano così. L’errore comune resta la cattiva informazione: buona parte di questi uomini cercano solo una nuova vita, probabilmente lontano dall’Italia. Purtroppo, con loro arriva pure qualche male intenzionato, ma i responsabili di tutto ciò hanno un nome ben preciso: trafficanti di uomini, o meglio scafisti.
Francesco Raguni
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