“Eutanasia”, il termine indica letteralmente una “morte serena e indolore”. Si tratta di interventi medici che prevedono la somministrazione di un farmaco letale, per via endovenosa, al paziente che ne fa richiesta e soddisfa determinati requisiti. Se avete visto almeno una volta il film: “Io prima di te” ricorderete sicuramente la scena in cui Will decide di partire per la Svizzera perché vuole morire, giunto li, chiede il suicidio assistito. Ciò che dovremmo comprendere è: perché il personaggio di questo film decide di morire proprio in Svizzera? Eutanasia e suicidio assistito sono due cose diverse?
Per rispondere a questi quesiti dobbiamo prima di tutto sapere che l’eutanasia, attualmente, è legale solo nei tre paesi del Benelux, mentre il suicidio assistito è legale in: Svizzera, Colombia, Washington, Oregon, Vermont, Montana e California. A differenza dell’eutanasia, che come abbiamo già detto richiede l’intervento diretto del medico, il suicidio assistito prevede che il medico si limiti solo alla preparazione di un farmaco, che il paziente assumerà poi per conto proprio. In Italia l’eutanasia è illegale mentre grazie alla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale, è possibile richiedere il suicidio assistito ma solo rispettando alcune condizioni. Secondo la legge italiana, la persona che richiede il suicidio assistito deve essere capace di intendere e volere, deve avere una patologia irreversibile e portatrice di gravi sofferenze e deve sopravvivere grazie a trattamenti di sostegno vitale.
Elena era una signora di 69 anni e circa un anno fa aveva avuto la diagnosi di “microcitoma polmonare”. Aveva una malattia che nel suo caso l’avrebbe solo portata a soffrire sempre di più, fino alla morte. Ha scelto di chiedere il suicidio assistito, prima che la malattia potesse prendere il sopravvento, ma per farlo è dovuta andare in Svizzera. I suoi cari, nonostante la sofferenza, hanno deciso di comprendere la sua scelta. I suoi parenti però cercavano sempre di rimandare l’evento ed Elena aveva paura che giunta a destinazione potessero cercare di fermarla. Ciò che più la spaventava era che potessero avere ripercussioni legali.
Per tutte queste ragioni, Elena si è rivolta all’associazione Luca Coscioni e in particolare a Marco Cappato, che l’ha accompagnata fino in Svizzera ed è stato accanto a lei per tutto il tempo necessario. Le ultime parole rilasciate dalla donna sono state: “Ho voluto porre fine alla mia vita prima che lo facesse la malattia in maniera più dolorosa. Sono sempre stata convinta che ognuno debba decidere sulla propria vita e debba farlo anche sulla propria fine”.
Marco Cappato, in seguito alla morte di Elena ha dichiarato: ” Mi sono autodenunciato. Se non le avessi dato il mio aiuto probabilmente avrebbe rinunciato perché non voleva mettere nei guai il marito e la figlia. Il codice penale del 1930 prevedeva fino a 12 anni di carcere, poi la Corte costituzionale aveva depenalizzato questo reato. Ma per richiedere il suicidio assistito in Italia, Elena doveva essere attaccata a una macchina per esempio. Invece nel suo caso non era dipendente da un trattamento sanitario. Non rientrava nei parametri nella corte, seppure le restassero solo poche settimane di vita”.
Marco Cappato, che da anni si occupa di fare qualcosa di concreto per il problema “eutanasia” e per i diritti umani, soprattutto dopo la vicenda di Dj Fabo, anch’esso aiutato da lui per porre fine alle sue sofferenze in Svizzera, concludendo le sue riflessioni sul caso di Elena, ha lanciato un messaggio molto importante: “La Corte costituzionale stessa aveva chiesto al Parlamento da quattro anni di intervenire, per chiarire meglio queste potenziali discriminazioni ma il Parlamento non lo ha fatto”.
Alessia Miceli
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