Quella che, tra poco, leggerete è la testimonianza di Irene, donna ucraina di mezz’età che ha visto la guerra (tra Ucraina e Russia) con i propri occhi e che per paura, tanta paura, è fuggita via. Anche se, almeno inizialmente, non avrebbe voluto. Ad Odessa, la città dove è nata e da cui proviene (per ora tra le protagoniste di questo insensato conflitto), ha lasciato i genitori, il fratello, alcuni amici, il suo cuore.
“Ci sono cose da fare ogni giorno: lavarsi, studiare, giocare, preparare la tavola a mezzogiorno. Ci sono cose da fare di notte: chiudere gli occhi, dormire, avere sogni da sognare, orecchie per non sentire. Ci sono cose da non fare mai, né di giorno, né di notte, né per mare, né per terra: per esempio, la guerra“.
Con questa poesia, “Promemoria” di Gianni Rodari, vorremmo iniziare a raccontarvi una storia che sa di fratellanza, solidarietà, pace. Parola, quest’ultima, sulla bocca di tanti ma voluta solo da pochi.
Il suo corpo, dopo due giorni di viaggio e quattro mezzi di trasporto cambiati, è qui. In Italia. Per la precisione in Sicilia. Dove viene ospitata a casa di un’amica russa e del marito (italiano) che ogni giorno tramite cellulare la esortavano a lasciare la sua nazione…la sua città…la sua casa.
La sua vita, “tranquilla e apolitica” come mi ha ripetuto più volte, è del tutto cambiata dopo la notte del 24 febbraio. Nessuna spiegazione di come tutto questo sia potuto accadere. Solo tanti dubbi e incertezze che connotano, non solo il suo recente passato, ma anche il suo futuro prossimo.
Con una disponibilità e una pacatezza d’animo fuori dalla norma, Irene, si è lasciata intervistare costruendo un racconto che i bombardamenti volevano far crollare.
“Non ricordo molto di quel giorno ma quello che posso dire è che è stata una provocazione. O meglio, un atto di forza di questo gruppo di estrema destra per far impaurire i manifestanti – presenti di fronte alla “Casa dei sindacati” – filo-russi e contrari al nuovo governo di Poroshenko. Alcuni di loro sono stati buttati nei roghi“.
“Assolutamente no. Nessun presentimento. Non potevamo mai aspettarci un vero e proprio attacco dell’esercito russo. Ad Odessa, fino alla notte del 24 febbraio, regnava la pace. Svolgevo la mia solita vita in modo tranquillo. Fino al giorno prima ero andata a lavorare, all’Università di Odessa presso il politecnico di ingegneria. Per diversi anni ho anche vissuto in Russia, a Mosca, per motivi di lavoro. Molta gente, me compresa, non pensava mai si potesse arrivare a questo punto“.
“Non ho una spiegazione ben precisa su quanto sta accadendo perché sono sempre stata poco interessata al mondo della politica. Sia ad Odessa sia quando stavo a Mosca non guardavo programmi televisivi di politica perché credo tendono a fare disinformazione. Ovvero, a mio avviso, si raccontano solo storie di parte che talvolta non risultano neanche vere. Negli ultimi anni ho assistito a uno scontro mediatico tra la politica ucraina e quella russa. Ma non so come questo è potuto nascere. Credo soltanto che questo sia un “conflitto artificiale”.
Ovviamente sono contro questa guerra perché non importa chi muore (se russi o ucraini), il risultato è sempre la morte. La mia opinione è che, forse, riguardo questo conflitto, né russi né ucraini sanno tante cose“.
Non so spiegarmi come Putin, presidente di una nazione così grande e potente come la Russia, abbia voluto attaccare l’Ucraina. Una nazione, oltre che confinante, vicina anche dal punto di vista della storia e della tradizione alla Russia. Spero che, al più presto, le parti trovino un accordo diplomatico affinché possa finire il conflitto“.
“Dallo scoppio della guerra la situazione in città diventava, ogni giorno, sempre più pesante e pericolosa. Ogni strada era barricata. Il lungomare è stato cosparso di mine anti-uomo nell’eventualità di uno sbarco russo. È stato imposto il coprifuoco dalle 19 alle 6 di mattina. Fino a quando sono partita, rispetto alle altre città ucraine o alla vicina Mykolaiv, ad Odessa sono stati bombardati solo i punti strategici come il vecchio aeroporto. Per fortuna nessuna abitazione era stata ancora colpita e nessun civile aveva perso la vita“.
Questo, però, fino a qualche giorno fa. Nelle ultime ore, sembra che l’esercito russo stia attaccando sia da terra che via mare per accerchiare la città.
“Il governatore della regione di Odessa è stato sostituito con un ex comandante del battaglione Aidar e da quel momento, tra questa decisione del governo ucraino e l’incursione russa, l’attività militare di Odessa è aumentata notevolmente. Un ponte della città è stato fatto saltare in area per non far passare i russi. A portare un po’ di sollievo, ci pensava l’orchestra del più importante teatro della città che suonava, al di fuori del teatro, davanti le barricate“.
“All’inizio non pensavo che la situazione potesse essere così pericolosa. Un giorno, però, uscendo di casa ho visto con i miei occhi che la città era diventata un teatro di guerra. La sera stavo a casa, da sola, al buio per timore di diventare un bersaglio dei bombardamenti russi. Per sfuggire a quest’ultimi qualche volta mi sono recata anche nei bunker. Oltre alle sirene anti-aereo ci è stata fatta installare un app dove arriva la notifica di un possibile attacco dal cielo dicendo di metterci al riparo. In tanti bunker erano presenti bambini che vivevano in orfanotrofi e che per paura di venire colpiti sono stati fatti trasferire lì.
La situazione stava iniziando ad essere molto pericolosa. Ho cominciato ad avere tanta paura e ho deciso di scappare“.
“Odessa è una città di pace. Una città ponte tra l’Ucraina e la Russia sotto vari punti di vista. Non so quanto possa resistere anche perché non conosco le strategie militari o il numero e il tipo di armi ancora a disposizione. Quello che mi sento di dire è che, rispetto ad altre città ucraine, i civili non sono così pronti per combattere. Dal 2014 venivano i soldati americani per fare esercitazioni militari. Odessa, oltre ad essere un importante centro economico e portuale, è una città di cultura. Non di combattimento. Non conosco nessuno che si sia arruolato“.
“Da quando la guerra ha avuto inizio, ovviamente, tra la popolazione si è scatenato un grosso panico. Tutti abbiamo cercato di fare quante più provviste possibili. Venivano acquistati beni di prima necessità che magari costavano di meno. Perlopiù, infatti, rimanevano solo le cose più costose e che non tutti si potevano permettere. Ultimamente gli scaffali erano più vuoti“.
“Ho deciso di scappare da Odessa il 13 marzo anche se, inizialmente, non volevo lasciare la città. Però ripeto: la situazione diventava sempre più pericolosa e la paura cresceva ogni giorno di più“.
“I miei genitori e mio fratello sono rimasti ad Odessa perché sia mio papà che mia mamma non sono in condizioni di affrontare viaggi così lunghi. Hanno serie difficoltà a muoversi. Infatti, la maggior parte di chi rimane sono le persone anziane. Faticano a spostarsi e camminare così a lungo per salvarsi. Per quanto riguarda gli amici, ne ho in più parti dell’Ucraina. Alcuni sono rimasti nelle loro città mentre altre mie amiche sono scappate. Non i loro mariti, però, che potevano solo accompagnarle al confine. Uomini, padri che potevano solamente dare l’ultimo saluto alle proprie spose e ai propri figli. Dopodiché dovevano tornare a combattere. Gli unici uomini che potevano lasciare la città erano coloro che hanno almeno tre figli da un matrimonio“.
“Ho affrontato l’intero viaggio da sola perché sono partita improvvisamente. Ho impiegato in pratica 48 ore per arrivare fino in Sicilia. Dalla sera del 13 alla notte tra il 15 e 16 marzo. Da Odessa, con un treno addetto alle evacuazioni, sono arrivata ad Izmail. Una città del distretto di Odessa al confine con la Romania. Ad Izmail ho dovuto prendere un traghetto che mi portasse fino ad Isaccea, in Romania. Da lì con un autobus sono arrivata a Bucarest.
In territorio rumeno ad accogliere me e tutti gli altri profughi c’erano tantissimi volontari che si prendevano cura di noi. Io, personalmente, una notte (tra il 14 e il 15) ho dormito in una famiglia che molto cordialmente aveva lasciato l’adesione per l’ospitalità. La mattina dopo sono andata all’aeroporto di Bucarest alla ricerca di biglietti aerei per la Sicilia (Catania o Palermo). I prezzi però aumentavano sempre di più, minuto dopo minuto, e non c’erano tanti voli in programma.
Pensavo che sarei rimasta un altro giorno in Romania ma il marito della mia amica, all’ora di pranzo, è riuscito a prenotarmi e pagarmi un biglietto per l’ultimo volo della giornata. Destinazione: Palermo. Sono, infatti, arrivata dopo la mezzanotte. Appena atterrata c’erano alcuni steward e volontari che mi hanno chiesto se provenissi dall’Ucraina e se avessi un posto dove andare. Ho risposto loro di sì. Ad attendermi, all’area “arrivi”, c’erano i miei amici. Il mio viaggio, anche se lungo e stancante, rispetto a quello che compiono altri profughi come me non è stato così difficoltoso“.
“No, non ti sbagli. I miei “compagni di viaggio” erano praticamente solo madri e bambini. La maggior parte di loro scappava solo con un zainetto e poche cose messe lì dentro. Nessuna valigia. Alcuni si portavano anche gli animali domestici. Le facce erano tristi e spaventate ma una volta raggiunto il territorio rumeno i volontari ci hanno coccolati e fatto sentire subito a nostro agio“.
“Sono davvero grata per qualsiasi aiuto ricevuto. Già quando, col traghetto, sono arrivata ad Isaccea sono rimasta stupita dall’accoglienza, dalla solidarietà e dall’organizzazione di quei volontari. Appena sbarcati, ci venivano incontro persone che ti chiedevano se avessi bisogno di assistenza medica; che ti dicevano in quali posti poter andare o come arrivare nelle altre città come, per esempio, Bucarest. Autobus e treni per spostarsi erano completamente gratis e accessibili a tutti. Tra le cose che mi hanno colpito maggiormente: i tavoli e gli scaffali pieni di cibo con su scritto “Take whatever you need”. Prendi qualsiasi cosa tu abbia bisogno. Sono rimasta davvero sorpresa e commossa per questo aiuto“.
“In realtà, da quando è scoppiato il conflitto, con la mia amica russa e suo marito ci sentivamo quotidianamente. Sono loro che mi hanno suggerito più volte di lasciare Odessa. Io non gli avrei mai chiesto di accogliermi anche perché, inizialmente, non volevo lasciare la mia città. Quando, però, la situazione si stava facendo davvero pericolosa con bombardamenti molto vicini ad Odessa ho deciso di accettare il loro invito. Dal momento in cui ho deciso di lasciarmi tutto alle spalle, la meta del mio viaggio era questa. L’Italia. La Sicilia. Casa loro“.
“No, sono stata in Italia varie volte. Per esempio, al matrimonio di chi oggi mi ospita, circa ventuno anni fa. Ma anche a Torino, Bergamo, Milano, Verona. Non parlo, però, l’italiano. Solo alcune parole“.
Come traduttrice, infatti, abbiamo avuto chi, insieme al marito, le hanno praticamente salvato la vita.
“E’ una domanda difficile. Ora come ora non so davvero come rispondere. Credo che resterò qui almeno per qualche mese. Nel mio futuro prossimo c’è la volontà di voler tornare a casa e spero, soprattutto, la pace…”
“Certo che sì. Spero vivamente che possa, al più presto, finire la guerra perché mi piacerebbe tornare a casa. La mia vita è lì“.
“Il mio messaggio è che non importa da quale nazione vieni: Russia, Ucraina, Bielorussia o Italia. Siamo tutti esseri umani. La guerra porta a un solo risultato: la morte. Per lo più di civili e persone innocenti che con il conflitto non hanno nulla a che fare. Io sono ucraina ma la maggior parte, specialmente ad Odessa, parlano il russo. Compresa me. La vicinanza tra Russia e Ucraina a livello di storia, cultura e tradizione è sempre stata molto forte. Non può esserci guerra tra due nazioni così vicine e per certi versi simili. La mia storia è l’emblema di come il popolo ucraino e quello russo vogliono la pace“.
Questa la testimonianza di una donna “apolitica“, come più volte ha ripetuto di essere. Di una donna che viene da Odessa: una città, in questi giorni teatro di guerra, sempre stata pacifica e neutrale. Di una donna, ucraina, che è riuscita a salvarsi per l’aiuto di un’amica russa: segno di come non ci sia spazio per l’odio o per la guerra tra le persone civili. Di una donna che non parla l’italiano ma che per capirla basta solamente avere un po’ di comprensione.
Giuseppe Tosto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Giuseppe, classe 1999, aspirante giornalista, è laureato in Scienze Politiche (Relazioni Internazionali). Fin da piccolissimo è appassionato di sport e giornalismo.
Simpatiche, si fa per dire, le scene di quando da piccolo si sedeva nel bar del padre e leggeva la Gazzetta dello Sport “come quelli grandi”.
Entrato a far parte di Voci di Città, prima, come tirocinante universitario e, poi, come scrittore nella redazione generalista e sportiva, con il passare del tempo è diventato coordinatore sia della redazione sportiva che di quella generale. Allo stesso tempo, al termine di ogni giornata di campionato, cura la rubrica settimanale “Serie A, top&flop” e si occupa di Calciomercato, Tennis e NBA. Inoltre, scrive riguardo anche le breaking news che concernono i temi più svariati: dallo sport all’attualità, dalla politica alle (ahimè) guerre passando per le storie più importanti e centrali del momento.
Il suo compito? Cercare di spiegare, nel miglior modo possibile, tutto quello che non sa!