In una lega dominata da fenomeni affermati e giovani talenti in rampa di lancio, non sembra essere ancora arrivato il canto del cigno per un giocatore che ormai da un ventennio strappa applausi su tutti i campi di NBA. Dall’esordio con i Toronto Raptors nel 1998 al trasferimento ai Sacramento Kings da free agent l’estate scorsa, Vince Carter ha militato in sette squadre diverse, venendo convocato otto volte per l’All-Star Game (ogni anno dal 2000 al 2007) e vincendo la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Sidney 2000 con il Dream Team degli USA, insieme a tanti altri campioni, tra cui Ray Allen, Kevin Garnett, Jason Kidd, Alonzo Mourning e Gary Payton.
Selezionato con la quinta scelta assoluta al Draft 1998 dai Golden State Warriors, il prodotto della University of North Carolina viene ceduto immediatamente ai Toronto Raptors. Nella franchigia canadese, nata ed iscrittasi alla NBA pochi anni prima (nel 1995, per l’esattezza), Carter ha l’occasione di giocare insieme a suo cugino di terzo grado, Tracy McGrady, selezionato al Draft dell’anno precedente dai Raptors con la nona scelta del primo turno. Conclude il suo primo anno in NBA con ottime medie individuali (18,3 punti, 5,7 rimbalzi e 3 assist a partita), venendo premiato come Rookie of the Year. Insieme a T-Mac, nel 1999-2000 trascina per la prima volta nella loro storia i Toronto Raptors ai playoff (poi persi al primo turno contro i New York Knicks). Sin dagli esordi si mette in evidenza per la sua grande abilità nelle schiacciate, tanto da aggiudicarsi lo Slam Dunk Contest nell’All-Star Weekend 2000, battendo in finale Steve Francis degli Houston Rockets e lo stesso Tracy McGrady.
Dopo aver salutato i Raptors, con cui resta dal 1998 al 2004 compiendo una crescita esponenziale anno dopo anno e centrando il record di franchigia per punti, 51, il 27 febbraio 2000 contro i Phoenix Suns (primato poi eguagliato nel 2014 da Terrence Ross), Vinsanity indossa la maglia dei New Jersey Nets fino al 2009, affiancando giocatori del calibro di Richard Jefferson e Jason Kidd e riuscendo ad eguagliare il suo record per punti segnati in una partita (51) il 23 dicembre 2005 contro i Miami Heat, ma anche qui, come avvenuto a Toronto, non riesce ad andare oltre le semifinali di Conference. Nell’estate 2009 passa agli Orlando Magic insieme al giovane compagno di squadra Ryan Anderson, aiutando in maniera considerevole i suoi a raggiungere il secondo posto ad Est nella regular season e le finali di Conference, poi perse contro i Boston Celtics in sei gare. Un’altra beffa per il buon Vince: la sua corsa verso le prime Finals della sua carriera si ferma sul più bello, ancora una volta.
L’anno successivo è ancora tra le fila degli Orlando Magic, ma a dicembre passa ai Phoenix Suns insieme a Marcin Gortat e Mikael Piétrus. La squadra dell’Arizona può contare anche su Goran Dragic, Channing Frye, Robin Lopez e, soprattutto, Steve Nash, ma non riesce a centrare i playoff. Nella stagione seguente si aggrega ai Dallas Mavericks campioni NBA in carica, con cui mette in mostra le sue doti da sesto uomo. Con grande spirito di sacrificio, Carter mette il suo talento e la sua professionalità a disposizione dei texani, in cui è uno dei veterani della squadra insieme a Dirk Nowitzki, Jason Terry e Jason Kidd, suo compagno di squadra anche nei New Jersey Nets. Dopo la sconfitta al primo turno con gli Oklahoma City Thunder di Russell Westbrook, Kevin Durant e James Harden, i Mavericks falliscono l’approdo ai playoff nel 2013, per poi arrendersi nuovamente al primo turno nel 2014, stavolta in un combattutissimo derby texano contro i San Antonio Spurs.
I futuri campioni guidati da Gregg Popovich riescono ad avere la meglio soltanto in gara-7, dopo che Dallas si era portata in vantaggio per 2-1 in gara-3 grazie a una tripla sulla sirena proprio di Vince Carter, decisivo per il 109-108 finale. La prematura uscita di scena dei Mavericks, ormai avviatisi gradualmente verso una fase di declino dopo la conquista del primo storico anello nel 2011, segna anche la fine dell’esperienza in Texas del classe ’77. In estate, infatti, Carter firma un triennale con i Memphis Grizzlies, in cui fa parte di un roster ben assortito e composto da numerosi giocatori di ottimo livello, tra cui Tony Allen, Mike Conley, Jeff Green, Zach Randolph, Courtney Lee e Marc Gasol. Nonostante questo, con la franchigia del Tennessee non riesce ad andare oltre le semifinali di Conference (sconfitta per 4-2 con i Golden State Warriors futuri vincitori del titolo nel 2015) e negli ultimi due anni con la maglia dei Grizzlies si ferma al primo turno, in entrambi i casi contro i San Antonio Spurs. A Memphis riesce a raggiungere uno dei tanti record stabiliti in carriera: il 30 marzo scorso, infatti, è diventato il primo giocatore a segnare 20 o più punti a 40 anni e 62 giorni, segnandone 21 nel successo contro gli Indiana Pacers.
La scorsa estate, Vince Carter è stato uno dei tanti giocatori di valore che ha salutato Memphis, finendo tra i free agent. Oltre a lui, infatti, hanno lasciato il Tennessee Tony Allen, trasferitosi ai New Orleans Pelicans, e Zach Randolph, che si è ricongiunto con Carter a Sacramento. I Kings sembrano destinati a restare fuori dai playoff per il dodicesimo anno consecutivo, in virtù di un inizio di regular season a dir poco negativo, ma la franchigia californiana nelle ultime partite ha mostrato di avere carattere e di non avere intenzione di recitare il ruolo della squadra materasso, battendo squadre del calibro di Chicago Bulls, New Orleans Pelicans, Philadelphia Sixers e Brooklyn Nets in trasferta e Phoenix Suns e Cleveland Cavaliers tra le mura amiche. Sacramento, inoltre, risulta una delle quattro squadre (le altre sono Houston Rockets, Detroit Pistons e Denver Nuggets) ad essere riuscita a battere i Golden State Warriors tra le mura amiche in questa prima parte di stagione, imponendosi per 110-106 alla Oracle Arena.
Vince Carter non è un titolare, ma riesce spesso e volentieri a dare un contributo determinante ai suoi in uscita dalla panchina. Dopo essersi preso applausi calorosi e un tributo da brividi da parte del pubblico dell’Air Canada Centre, lo stadio in cui ha mosso i suoi primi passi nella NBA circa vent’anni fa, nel match perso contro i suoi ex Toronto Raptors per 108-03 poco più di una settimana fa, The Flying Man è tornato in campo nell’ultima partita vinta a sorpresa contro i Cleveland Cavaliers di LeBron James, regalando una serata speciale ai tifosi californiani e risultando il vero protagonista del successo per 109-95 dei suoi. Partendo come di consueto dalla panchina, infatti, Carter ha messo in mostra il meglio del suo repertorio, tra giocate d’alta scuola e un’alta efficienza offensiva (10/12 dal campo e 4/5 da tre, per un ottimo 83,3% al tiro) strappando applausi a destra e a manca e totalizzando ben 24 punti, 5 rimbalzi e 3 assist in 30′ di impiego. Tutto ciò è ancor più speciale se si considera che tra meno di un mese il fuoriclasse di Daytona Beach compirà 41 anni.
La classe non ha età e Vince Carter ne è l’ennesima dimostrazione. Certo, i numeri non sono più quelli di una volta, l’impiego è limitato, ma il talento e la professionalità non variano, così come il rispetto e la stima di tifosi e appassionati di ogni angolo del globo che V.C. si è guadagnato nel corso degli anni. Poco importa se il suo palmarès non possa essere comparato a quello di tante altre leggende della sua epoca, quel che conta è che sia riuscito nello scopo che ogni giocatore di basket dovrebbe perseguire, ossia quello di far innamorare in tanti del gioco e distinguendosi dagli altri con uno stile più unico che raro, un bagaglio tecnico che in pochi possono vantare e una capacità di adattarsi a contesti tanto impegnativi quanto diversi tra loro rimanendo sempre fedele a sé stesso e alle sue idee.
The Half-Man/Half-Amazing, infatti, è diventato sin da subito una vera e propria icona del basket NBA, tanto da essere citato in numerose canzoni (Weston Road Flows di Drake e Chum di Earl Sweatshirt tra le tante) e da apparire nel film Like Mike insieme a leggende del calibro di Allen Iverson, Dirk Nowitzki, Steve Nash, Tracy McGrady, Jason Kidd, David Robinson e tanti altri. Con 24.636 punti segnati fin qui in carriera, inoltre, Vince Carter è attualmente il 23° miglior marcatore della storia della NBA, il quarto in attività dietro a Dirk Nowitzki, LeBron James e Carmelo Anthony, e non sembra aver alcuna intenzione di smettere di stupire. Perché Vincent Lamar Carter, meglio noto come Vince Carter, è soltanto per metà un essere umano e il suo soprannome Half-Man/Half-Amazing non è un caso. L’incredibile schiacciata con cui sovrastò il centro francese Frederic Weis con la maglia degli USA – ribattezzata dai giornali francesi «dunk de la mort» – è soltanto una delle tante che lo hanno reso uno dei migliori schiacciatori di sempre, ma di certo la sua abilità nelle schiacciate non è l’unica qualità per il quale nessun amante della NBA potrà mai dimenticare una delle carriere più belle ed ammirevoli di sempre.
Dennis Izzo
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