La dubbia decisione delle autorità di far disputare il match tra Catania e Sorrento a porte chiuse, è stata al centro delle discussioni legate all’ambiente etneo. E sul ricorso respinto dal TAR si potrebbero scrivere fiumi di parole, sebbene sia bastato quel clima cupo e silenzioso a fare il dovuto rumore.
Altrettanto tetra e desolante si è dimostrata poi la squadra di Cristiano Lucarelli. Va detto che non ci si aspettava certo che quest’ultimo potesse fare miracoli con una rosa male assortitarosa male assortita, sterile e inadatta, allo stato attuale, per un campionato nei piani alti.
Differentemente, il Sorrento, ha dimostrato idee di gioco ben chiare, che hanno avuto piena dimostrazione nell’azione che ha portato al bel goal di De Francesco. La serenità mentale e fisica di una squadra apparsa nettamente superiore agli etnei, ha poi trovato estrinsecazione massima nei secondi 45 minuti, in cui la gestione è stata quasi perfetta, visti gli sterili attacchi avversari.
Palla lunga a pedalare, cross in mezzo senza uomo a rimorchio dietro e il solito schema “palla a Marsura e Chiricó, poi vediamo”, sono invece i mantra imprescindibili degli uomini di Lucarelli. Il mister a onor del vero ci prova fino alla fine, schierando negli ultimi minuti ben 5 attaccanti (Dubickas, Popovic, Bocic, Chiricò e Chiarella), che però non cambiano le sorti di una partita il cui finale sembrava scritto sin dall’inizio.
La sconfitta di ieri sera non fa male solo per la classifica e l’assenza del pubblico. Fa male soprattutto per le modalità in cui è arrivata: il Sorrento è stato in pieno controllo per tutti i 90 minuti (più recupero) e non ha utilizzato stratagemmi abituali in questa categoria per agevolare lo scorrere inesorabile del tempo (vedi, invece, Messina). Le occasioni finali del Catania, qualora si fossero concretizzate, sarebbero state addirittura una beffa per la squadra campana.
Lucarelli a fine partita cerca di smuovere gli animi di una squadra attualmente inerme e in cerca di una scossa. La salita, purtroppo, appare ancora lunga.
Francesco Mascali
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