Nel corso degli ultimi giorni, l’operazione bellicosa della Turchia in Medio Oriente non ha lasciato indifferente nessuno, influendo anche nella sfera sportiva: tra i calciatori della Nazionale turca (tra cui Demiral e Ünder, in forza rispettivamente a Juventus e Roma) festeggiano i loro gol e le loro vittorie col saluto militare, gesto interpretato come chiaro segno di supporto all’intervento militare turco nel nord della Siria, zona a prevalenza curda, e il giocatore Cenk Sahin, licenziato dal club tedesco del St. Pauli dopo aver pubblicato un post a favore di Erdogan, c’è anche chi non ha paura di dire la sua e combatte a spada tratta per la difesa della democrazia e dei diritti umani e contro ogni forma di discriminazione e sopruso. Tra questi, spiccano l’ex attaccante di Torino, Inter e Parma Hakan Şükür – che dopo il ritiro era stato eletto deputato col Partito per la Giustizia e lo Sviluppo di Erdogan, salvo poi rompere con quest’ultimo dopo l’apertura di un’inchiesta per corruzione dell’attuale presidente turco e trasferirsi in California, a Palo Alto, dove vive con la sua famiglia e vende caffè – e Enes Kanter, cestista attualmente in forza ai Boston Celtics, in NBA, e privato sia del passaporto che della cittadinanza turca in seguito alla sua lotta senza freni contro il governo turco.
Entrambi sono due dei volti sportivi più noti della Nazione: il primo, infatti, è il miglior marcatore della storia della Nazionale turca, avendo messo a segno 51 reti in 112 presenze tra il 1992 e il 2007, prendendo parte a due Europei (nel 1996 in Repubblica Ceca e nel 2000 in Belgio e Olanda) e al Mondiale in Corea e Giappone nel 2002, trascinando i suoi sino alla semifinale persa per 1-0 contro i futuri campioni del mondo del Brasile. Oltre a ciò, il classe ’71 ha vinto per tre volte consecutive la classifica marcatori del campionato turco, rispettivamente nel 1996-1997 (38 gol), nel 1997-1998 (32 gol) e nel 1998-1999 (19 gol), in tutti e tre i casi con la maglia del Galatasaray, di cui risulta il miglior realizzatore all-time con 297 reti e con cui ha vinto ben 22 trofei in carriera, in particolar modo la Coppa UEFA nel 2000 contro l’Arsenal a Copenhagen.
“Our lives begin to end the day we become silent about things that matter.”
MLK
— Enes Kanter (@EnesKanter) October 14, 2019
Il secondo, invece, è ad oggi, insieme a Ersan Ilyasova e Cedi Osman, uno dei tre giocatori di pallacanestro turchi a militare in NBA, il campionato di basket più famoso e competitivo al mondo. Il centro dei Boston Celtics, reduce dalle esperienze con Utah Jazz, Oklahoma City Thunder, New York Knicks e Portland Trail Blazers, però, di fatto non è più turco, in quanto il governo gli ha sottratto la cittadinanza della Turchia, rendendolo così apolide. Selezionato con la terza scelta assoluta al Draft 2011 dagli Utah Jazz, il nativo di Zurigo, i cui genitori sono entrambi turchi, non ha mai nascosto la propria disapprovazione nei confronti dell’operato del presidente turco Recep Erdogan (definito dal giocatore “l’Hitler del nostro secolo”), tanto da aver rischiato più volte l’arresto ed essere stato accusato di terrorismo dalle autorità turche, che lo ritengono tra i responsabili del fallito Colpo di Stato del 2016 ai danni del governo. In un quadro del genere, con la Turchia che attacca la Siria e il Medio Oriente, Kanter non poteva certamente starsene in silenzio.
Stand for FREEDOM and DEMOCRACY.
Even if it means sacrificing EVERYTHING!!! pic.twitter.com/P68uq9B1Cc
— Enes Kanter (@EnesKanter) October 15, 2019
Il classe ’91 ha infatti detto la sua, confermando la propria posizione di netta opposizione al regime di Erdogan e raccontando le enormi difficoltà che ha dovuto fronteggiare negli ultimi anni, pagando a caro prezzo la decisione di esprimere la sua opinione e cercare di far sì che nessuno metta in discussione il valore della libertà. Kanter ha impugnato la penna, che in certi casi ferisce più di una spada (o di un fucile), e ha scritto un articolo in prima persona, pubblicato sul Boston Globe, in merito alla vicenda. Di seguito la sua interessante lettera per il quotidiano statunitense.
This is the price I am ready to pay if this is what it takes to stand up for what I believe is right.
It’s worth it.My Op-Ed with @BostonGlobe
— Enes Kanter (@EnesKanter) October 15, 2019
“Come potrei restare in silenzio? Decine di migliaia di persone sono imprigionate in Turchia, tra cui professori, giornalisti, avvocati, giudici, attivisti e medici, la cui unica colpa è quella di aver espresso il proprio dissenso nei confronti del governo. Numerosi bambini stanno crescendo in celle strette e scomode con le loro madri. Democrazia significa avere la libertà e il coraggio di parlare, non finire in galera per questo. Andare a pregare in moschea il venerdì non è semplice, spesso le persone che mi riconoscono mi gridano ‘Sei un traditore!’, com’è successo pochi giorni fa. Erano sostenitori di Erdogan e la loro presenza non era casuale. Il mese scorso, infatti, alcuni ministri turchi hanno organizzato un incontro pubblico con la comunità presente a New York, in cui hanno aizzato la folla contro di me e indicato il nome della moschea in cui vado a pregare a Boston. Ecco perché per me non è stata affatto una sorpresa trovare quella gente lì fuori ad aspettarmi. Inoltre, il consolato continua a fare pressione sulle autorità americane per tapparmi la bocca e fermare la mia opera di dissenso. Più loro cercano di zittirmi, più io alzo la voce. Stanno sprecando il loro tempo, le minacce non mi fanno paura.”
-Haven’t seen or talked to my family 5 years
-Jailed my dad
-My siblings can’t find jobs
-Revoked my passport
-International arrest warrant
-My family can’t leave the country
-Got Death Threats everyday
-Got attacked, harassed
-Tried to kidnap me in IndonesiaFREEDOM IS NOT FREE
— Enes Kanter (@EnesKanter) October 15, 2019
Il nuovo numero 11 dei Celtics, inoltre, ha pubblicato un post piuttosto significativo sul proprio profilo Twitter, elencando tutto ciò cui ha dovuto rinunciare per difendere i suoi ideali. “Non vedo né parlo con i miei familiari da cinque anni, mio padre è in galera e i miei fratelli fanno fatica a trovare un posto di lavoro. Il mio passaporto è stato revocato, c’è un mandato di cattura internazionale nei miei confronti e la mia famiglia non può lasciare la Turchia. Ricevo minacce di morte ogni giorno, spesso mi hanno attaccato e molestato e cercarono di rapirmi in Indonesia. LA LIBERTÀ NON È GRATUITA.”, ha commentato il 27enne, molto attivo nel sociale e impegnato a favore dei bambini poveri, cercando di essere un esempio per i più giovani e dare una mano alla comunità. “Sono grato dell’opportunità che mi è stata data di vivere negli Stati Uniti d’America, che mi hanno dato tantissimo sin da quando sono arrivato. Ecco perché mi sento in dovere di restituire qualcosa alla comunità e quest’estate ho organizzato 50 camp di pallacanestro in 30 stati federali, con l’obiettivo principale di trasmettere messaggi positivi per i ragazzi. Ringrazio anche tutti i giornalisti, i politici, gli attivisti e i tifosi che mi supportano e mi spingono ad andare avanti. Ho la fortuna di essere sotto i riflettori e di poter promuovere i diritti umani, la democrazia e la libertà personale: totto questo è molto più importante della pallacanestro. Fare il portavoce di questi ideali se sei turco significa rischiare la prigione e subire la violenza dei militari, se fossi tornato in Turchia starei marcendo in galera. Sono stato accusato di essere un terrorista e hanno chiesto all’Interpol di arrestarmi. Per me è difficilissimo stare lontano dalla mia famiglia, un sacrificio enorme, ma le cose buone hanno un prezzo alto e non ti vengono mai regalate.”
Dennis Izzo
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Coordinatore editoriale di Voci di Città, nasce a Napoli nel 1998. Tra le sue tanti passioni figurano la lettura, i viaggi, la politica e la scrittura, ma soprattutto lo sport: prima il calcio, di cui si innamorò definitivamente in occasione della vittoria dell’Italia ai Mondiali 2006 in Germania, poi il basket NBA, che lo tiene puntualmente sveglio quasi tutte le notti da ottobre a giugno. Grazie a VdC ha la possibilità di far coesistere tutte queste passioni in un’unica attività.
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