Ci ha provato a lungo, a battere la malattia, ma alla fine Gino Corioni non ce l’ha fatta. Uno degli ultimi simboli di un calcio genuino e passionale se n’è andato. E con lui, via anche quell’umorismo pungente e quell’impulsività che solo i presidenti pane e salame sapevano avere. Un po’ come Rozzi, Anconetani o Massimino.
Corioni, o ti amava, o ti tartassava. Lo sanno bene tutti gli allenatori che si sono susseguiti sulle panchine delle sue squadre – Ospitaletto, Bologna e Brescia -. In trent’anni di calcio, è riuscito ad andare d’accordo solo con Gigi Maifredi, Mircea Lucescu e Carlo Mazzone. Tutti gli altri? Non sono durati nemmeno due anni.
L’ultimo capitolo della sua storia calcistica è stato a Brescia. Una città tranquilla, in cui si è rivelato tra i personaggi più discussi, amati e odiati al contempo. Cinque promozioni e altrettante retrocessioni, ma anche un Torneo Anglo-Italiano in bacheca, un Viareggio vinto con la Primavera di Andrea Pirlo e Roberto Baronio. Ma è anche colui che è riuscito a far innamorare Pep Guardiola della Lombardia e a dare fiducia a Roberto Baggio quando in Italia lo avevano scaricato tutti.
L’amore di Corioni per questo sport, però, risale a molto tempo prima. Dopo aver fondato a Ospitaletto la Saniplast, un’azienda di arredamenti da bagno, decide di entrare nel mondo del pallone acquistando la formazione locale, che porta nel professionismo. Poi, il passaggio al Bologna, acquistato nel 1985 per sette miliardi di lire – pari a circa quattro milioni di euro. Ambizioso, in Emilia si presenta promettendo la Serie A e l’Europa. Mantiene le promesse, con una squadra che propone un calcio dinamico e spumeggiante. Il condottiero è Gigi Maifredi, con Renato Villa al timone della difesa, Giancarlo Marocchi diga di centrocampo e Angelo Marronaro pronto a trasformare ogni occasione in gol.
In cerca di nuove sfide, Corioni si siede sulla poltrona del Brescia nel 1992. Estimatore di un calcio offensivo, è amore a prima vista con Mircea Lucescu, il tecnico che lo porta immediatamente in Serie A. Per ricambiare, come un genio della lampada, prova a esaudire i tre desideri del romeno, ingaggiando i connazionali Raducioiu, Sabau e Hagi, con quest’ultimo che lascia il Real Madrid per ricongiungersi col suo mentore. Eppure, nonostante le premesse, la retrocessione è imminente. Corioni, però, decide di confermare il blocco dell’Est – Raducioiu è l’unico a partire con destinazione Milan – e i lombardi tornano subito in Serie A, portando a casa anche l’Anglo-Italiano nella magica notte di Wembley contro il Notts County.
Dopo l’addio di Lucescu, il Brescia torna alla solita vita, sempre a cavallo tra Serie A e Serie B, pescando qualche talento fuori porta, ma puntando soprattutto sui giovani del vivaio. Già menzionati, Pirlo e Baronio, senza dimenticare i gemelli Filippini, Daniele Bonera, Aimo Diana ed Emiliano Bonazzoli. Con Carlo Mazzone, poi, Corioni trova una nuova sintonia. Nel 2000, dopo una trattativa lunga tutta l’estate, gli regala l’estro di Roberto Baggio. Poi, a gennaio, riporta all’ovile Pirlo e il Brescia centra la qualificazione in Intertoto. La sconfitta in finale contro il PSG di Anelka non fa altro che aumentare la voglia di rivalsa di Ginaccio, che piazza l’ennesimo colpo a effetto, convincendo Pep Guardiola a sposare la causa delle Rondinelle. L’ex regista del Barcellona di Cruyff, era rimasto svincolato, dopo una vita passata in Catalogna. “Quando voleva comprare Baggio e Guardiola – ha ricordato recentemente Mazzone – Corioni chiamava mille volte al giorno, non ci dormiva la notte. Aveva senso dell’affare e non si poteva limiti: se c’era un campione, doveva portarlo al Rigamonti“.
Ma l’idillio termina presto: tra il 2004 e il 2014, ultimo anno della gestione-Corioni, i lombardi disputano solo un’annata in Serie A e tante stagioni da dimenticare in cadetteria. Poi, la crisi societaria ha fatto il resto, accompagnata dalle dimissioni del Pres che, lentamente, esce di scena. Fino al commiato definitivo, ieri mattina.
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Nell’albo dei pubblicisti dal 2013, ha scritto un eBook sui reporter di guerra e conseguito due lauree. A Catania si è innamorato del giornalismo sportivo; a Londra si è tolto la soddisfazione di collaborare per il Guardian e il Daily Mail. Esperto di digital marketing e amante dei social media, nel 2017 ha deciso di tornare a collaborare con VdC di cui era già stato volto e firma nel 2012-2013.