«Ogni scarrafone è bell’ a mamma soja» cantava Pino Daniele, volendo intendere che ciascuna mamma vede nel proprio figlio quanto di più bello esista, anche quando per il resto del mondo non è oggettivamente così. Se, da una parte, chiunque ha innegabilmente in sé qualcosa di speciale, è vero anche che esistono dei bambini plusdotati, aventi, cioè, un quoziente intellettivo nettamente superiore alla media.
Il fenomeno della plusdotazione, che interessa il 5% della popolazione, è ormai da anni oggetto di studi che mirano a riconoscerla sulla base di dati oggettivi, in modo da poter tutelare i piccoli di fronte a un sistema scolastico purtoppo non ancora adeguato alle loro esigenze – come dimostra una recente indagine condotta su 400mila italiani considerati ad alto potenziale – e che anzi, spesso, conduce a casi di alienazione sociale. I percorsi didattici, infatti, sono studiati tenendo conto di capacità e bisogni dei normodotati, cosicché i piccoli geni rischiano di sentirsi a disagio di fronte a nozioni per loro scontate, dal momento che, rispetto alle tabelle elaborate in sede pediatrica, questi sviluppano molto prima dei loro coetanei alcune capacità legate alla sfera cognitiva. Secondo un rapporto europeo del 2005, peraltro, l’Italia è l’unico Paese in Europa a non occuparsi dei gifted children (vale a dire, i bambini portatori di un dono), nonostante nel 1994 la raccomandazione 1248 del Consiglio d’Europa abbia sottolineato la necessità di svilupparne il potenziale intellettivo.
Non stiamo, dunque, parlando necessariamente dei primi della classe, ma al contrario di soggetti che, proprio perché non individuati e valorizzati a dovere, tendono ad annoiarsi durante le lezioni, a prestarvi poca attenzione e a disturbare, giacché in mancanza di stimoli idonei non sono per nulla coinvolti e interessati. Ciò li porta perfino a lasciare gli studi, in alcuni casi. In mancanza di strutture e di programmi adeguati, di un riconoscimento prima e di un’adeguata formazione poi, diventa semplice capire come mai la presenza di doti cerebrali più marcate venga spesso erroneamente percepita e valutata. Invero, è stato attestato come non di rado ai gifted children venga diagnosticata la temuta ADHD, la sindrome da deficit di attenzioni e iperattività, la quale li costringe a sopportare cure e sedute analitiche volte alla riabilitazione da una condizione patologica nel loro caso assolutamente teorica. Una mente troppo grande in un corpo troppo piccolo porta, perciò, a causa probabilmente dell’affannoso perseguimento di un’uguaglianza formale, a una disuguaglianza sostanziale e all’incapacità di sfruttare quella che, oltre ad essere una risorsa individuale, potrebbe esserlo anche a livello sociale.
Come riconoscere simili soggetti? Spesso si tratta di bambini ipersensibili, che (di solito da autodidatti) riescono a immagazzinare quantità impressionanti di informazioni. Se c’è chi è bravissimo a suonare uno strumento musicale già in tenera età, c’è chi usa a due anni il sistema verbale in modo estremamente corretto, o chi svolge operazioni matematiche particolarmente complicate. Essere plusdotato, comunque, è una questione genetica e il contesto in cui si nasce fa ben poco la differenza. Non bisogna confondere, però, la plusdotazione con il talento: i migliori risultati in qualsiasi campo possono essere raggiunti anche da chi non è un giften child. Oltre ai suddetti segnali, infatti, esiste un test specialistico che misuri il quoziente intellettivo e che, nonostante i costi elevati, tenga conto delle affinità individuali del piccolo può essere la soluzione per svelare la sua o meno appartenenza alla categoria.
Quando non correttamente seguiti, i bambini prodigio possono vivere una condizione di emarginazione. «Il primo grande trauma lo ha avuto il primo anno di asilo. Un giorno ha raccontato in classe la teoria dell’evoluzione di Darwin. Quando ha detto che venivamo dalle scimmie i bambini hanno iniziato a ridere e prenderlo in giro. Lo chiamavano la scimmia, gli facevano il verso ogni volta che lo vedevano passare. È rimasto per un mese sotto a una sedia dietro a una colonna. Sono bambini molto sensibili e soffrono tanto. Per un genitore vederli così indifesi è straziante» è la testimonianza di una mamma, Viviana Castelli. «Fa fatica ad accettare i fallimenti – continua – c’è un divario tra i suoi progetti grandiosi ad esempio e la sua capacità di realizzarli. Questo lo fa stare male. E poi guai a imporgli regole. Per fargliele accettare bisogna spiegarle, con l’imposizione non otterrei nulla».
Le tutele sono dunque necessarie. «Serve un riconoscimento precoce per questi bambini. E insegnanti formati che sappiano lavorare con loro», afferma l Castelli, che con l’associazione Onlus Step-net da lei presieduta ha depositato alle Camere anche una proposta di legge ritenuta interessante da alcuni parlamentari. Tra le finalità di quest’ultima ci sono quelle di garantire il diritto all’istruzione, favorire il successo scolastico, fornire una formazione personalizzata e sostenere lo sviluppo delle potenzialità e dei talenti, nonché ridurre i fenomeni di underachievement e di drop-out, prevenire e/o ridurre le problematiche relative al disagio socio-relazionale ed emotivo, istituire la figura professionale dello Specialist in gifted education e incentivare la collaborazione tra famiglia, scuola, servizi socio-sanitari, istituzioni, centri specializzati e fondazioni che ne abbiano competenza durante il percorso formativo. «E ora siamo in attesa di essere chiamati», racconta la Castellani. «Perché questi bambini non sono cervelloni disadattati, ma ragazzi che devono imparare a stare nel mondo». Sono, infatti, persone che hanno ricevuto un regalo prezioso, ma che non sempre sono nella condizione di potere a propria volta donare ad altri quanto ricevuto.
Concetta Interdonato
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