Attore, personaggio televisivo, studente e modello. Il corpo del cosiddetto “Brad Pitt iracheno” è stato ritrovato senza vita in una delle vie più affollate di Baghdad. Forse, in un Paese così conservatore, si era spinto troppo oltre. Non ha, però, mai avuto paura delle minacce e ha continuato a vivere all’occidentale.
Karar Nushi era un ragazzo sciita e probabilmente omosessuale, famoso perché ribattezzato come il “Brad Pitt iracheno”. Lunghi capelli biondi, occhi chiari, fisico scolpito e vestiti attillati: era facilmente distinguibile dalla massa. Amava vivere liberamente, senza le costrizioni a cui sono solitamente sottoposti i ragazzi di fede islamica. Frequentava la Facoltà di Arte e Spettacolo all’Università di Baghdad e aveva iniziato a sfondare prima in campo teatrale, poi anche nei programmi televisivi. Recitava spesso a teatro e in varie serie TV a sfondo satirico. Il suo profilo Facebook vantava migliaia di seguaci, sia ragazzi che ragazze, che lo vedevano come un esempio per la sua vita libera. Negli ultimi tempi aveva annunciato ai fan che avrebbe presto partecipato a un concorso di bellezza. Probabilmente questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso per i fondamentalisti, che già in passato lo avevano minacciato.
La scorsa domenica i genitori di Karar avevano denunciato la scomparsa del figlio poiché temevano che gli venisse fatto del male, considerate le ripetute minacce. Le loro ipotesi si sono dimostrate tremendamente fondate: il corpo è stato ritrovato in Palestine Street, nella capitale. Mostrava segni di tortura e ferite da arma da taglio. Le autorità non si sono ancora sbilanciate per commentare l’accaduto, poiché di mezzo c’è il fondamentalismo. Le minacce che il “Brad Pitt iracheno” aveva ricevuto provenivano da gruppi vicini all’Isis, sia sunniti che sciiti. Sicuramente era una figura che non combaciava con i principi dei fondamentalisti nella maniera più assoluta. Ancora non sono stati identificati i colpevoli, ma sono in corso gli accertamenti e le verifiche del caso.
Karar aveva dimostrato di essere fermamente credente. Su Facebook postava foto che lo ritraevano nei luoghi di culto più importanti per gli sciiti. Nonostante questo, la sua vita considerata troppo occidentale non passava inosservata agli occhi dell’estremismo islamico. Inoltre il ragazzo aveva dichiarato che rifiutava l’uso strumentale della religione, cosa che gli aveva procurato una nuova ondata di minacce. Il “Brad Pitt iracheno”, però, non voleva farsi intimorire e continuava anche con nuovi progetti. La sua storia poteva essere un esempio di come, seppure con varie difficoltà, anche nei paesi islamici ognuno potesse vivere liberamente. Così, purtroppo, non è stato. Infatti dal 2003 in Iraq c’è una percentuale molto alta di omicidi, commessi dai gruppi islamisti, su vittime con uno stile di vita omosessuale, occidentale o diverso dalla massa. Si conferma un Paese in cui la violenza è dettata dal fanatismo religioso.
Sara Tonelli
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