Per molti è praticamente un sogno, per altri, invece, è un’operazione di marketing insensata che stenterà ad avere successo. Starbucks sbarca in Italia, con l’intenzione di conquistare uno dei paesi più difficili (e ci mancherebbe) nell’ambito culinario. Ad annunciarlo è Antonio Percassi, conosciuto ai più come ex calciatore ed attuale presidente dell’Atalanta, ma con un più che discreto successo nell’imprenditoria del nostro paese, grazie al quale può vantare (secondo Wikipedia, lo sottolineiamo) un giro d’affari di ben 800 milioni di euro. Sarà lui a curare l’approdo della storica catena di caffetterie nel bel paese e ha annunciato alcuni dettagli dell’operazione in una conferenza stampa a Milano.
«Apriremo il prossimo anno – dichiara Percassi – nel 2018, dopo Giugno. Dopo una settimana dall’inaugurazione dovrebbero aprire altri 4-5 punti vendita tra Roma e Milano». L’ex stabile delle poste in piazza Cordusio della città meneghina sarà il luogo designato per l’approdo di Starbucks, poi il tentativo di allargarsi, ma solo «se il mercato – italiano, ovviamente – risponderà bene». «Puntiamo su un buono sviluppo, con l’obiettivo di aprire nell’arco di 5-6 anni circa 200/300 punti vendita in tutta Italia». Scelta rischiosa? Secondo l’imprenditore bergamasco «può starci».
Eppure c’è chi, con cognizione di causa, pensa anche ad un fallimento. I prezzi, effettivamente, non sono dei più abbordabili (almeno all’estero, dove, si deve dire, la qualità della vita è più alta) e i prodotti, in confronto a quelli italiani, farebbero fatica a conquistare un ampio target di clienti. Può, effettivamente, un bicchierone di Starbucks sostituire il nostro beneamato caffè? Domanda dalla facile risposta, specie se si pensa che al sud una tazzina va sugli 80 centesimi/un euro. Potrebbe essere il target prima menzionato, però, a dare quel successo che lo stesso Percassi si augura.
Starbucks ha conquistato i giovani, specie gli studenti abitanti nelle grosse metropoli. Un luogo di ritrovo per chi vive sui libri? Potrebbe diventarlo, anche se la condizione economica di questi sarà la vera chiave di volta. Fondamentale, poi, sarà appunto il collocamento dei vari punti vendita. Starbucks e i suoi bicchieroni di caffè hanno monopolizzato le grandi città del mondo, sfruttando la velocità del servizio in ambienti al dir poco frenetici, ma Roma e Milano daranno la stessa “mano” che hanno dato centri come Londra o New York? Le possibilità ci sono, e l’approdo di un’altra famosa catena a stelle e strisce avvenuta anni fa, fa ben sperare Percassi e il gruppo San Pellegrino (la catena che ha curato il progetto del nuovo stabilimento).
Parliamo di McDonald’s e dei suoi panini, che rappresentano l’apice del fast food nel mondo. Nell’86, vero anno di approdo qui in Italia, destò dubbi ed incertezze, eppure hamburger dopo hamburger ha conquistato il pubblico della penisola, con quel modello americano che tanto piace a giovani e giovanissimi. Sarà forse questo a dettare il grande successo di Starbucks? D’altronde, oltre al prezzo e ai prodotti in sè, la grande differenza tra la catena statunitense e i classici bar di casa nostra sta in quell’essenza d’oltreoceano fatta oggi di sala relax, musica e free Wi-Fi, dove poter tranquillamente sorseggiare il caffè e lavorare (o studiare) al PC. E in un paese in cui non è e non sarà mai concepibile bere il caffè in un bicchierone di plastica mentre si guida o si cammina, elementi del genere potrebbero davvero sancirne la buona riuscita, anche se 200/300 punti vendita potrebbero essere davvero un’utopia per la nostra cara Italia. Successo o fallimento? L’ago della bilancia lo sanciranno i clienti stessi: ai posteri, dunque, l’ardua sentenza.
Francesco Mascali
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