Nell’attesa delle tanto sperate riforme strutturali dei paesi dell’Eurozona, un segnale di forte intensità è giunto in questi giorni dal più discusso dei componenti della Troika, la Banca Centrale Europea. Lo scorso 9 marzo è partita l’operazione denominata Quantitative easing, detta anche allentamento quantitativo: si tratta di un piano che ha lo scopo di riportare il tasso di inflazione verso il 2%, con la speranza di innescare una reazione a catena che rilanci l’economia europea.
La mossa principale della BCE sarà l’acquisto di bond europei, proporzionalmente alle quote di capitale di ogni singolo Paese, per un totale di 1.140 miliardi di euro, ad un ritmo di circa 60 miliardi ogni mese fino a settembre 2016: ciò dovrebbe tradursi, nello specifico caso italiano, in interventi sui titoli di Stato per un totale complessivo di 150 miliardi di euro. Il rischio più grande per il nostro Paese sarà che, in caso di default, la responsabilità andrebbe a ricadere prevalentemente sulla Banca d’Italia, in quanto gli acquisti verranno effettuati per la stragrande maggioranza dalle banche centrali dei singoli Paesi. L’esperienza giapponese, inglese ed americana, in quanto precursori del QE, ci insegna inoltre che la crescita dell’inflazione non sarà scontata, in quanto gli Stati sopra citati hanno goduto di benefici scaturiti da altri fattori e non direttamente dall’aumento prolungato dei prezzi.
Sono molti i dubbi che circondano questa maxi-operazione, ma alcune previsioni sulla sua effettiva riuscita, giunte direttamente dal governatore della BCE Mario Draghi, sembrerebbero allontanare la diffidenza: innanzitutto, l’acquisto di titoli di Stato permetterebbe di ridurre gli interessi sul debito italiano con un risparmio per il Bel Paese di circa 6 miliardi di euro ogni anno. L’immissione di liquidità da un lato farebbe abbassare il prezzo della moneta unica, sempre più prossima ad eguagliare il valore del dollaro, ma dall’altro permetterebbe l’aumento delle esportazioni, in quanto il mercato estero constaterebbe delle riduzioni nei prezzi all’interno dell’Eurozona. Non ultimo, con l’abbassamento dei rendimenti dei titoli di Stato, le banche riuscirebbero ad agevolare i prestiti, permettendo alle famiglie ed alle imprese di accedere ad una liquidità che agevolerebbe gli investimenti e la crescita dell’occupazione.
Come è facilmente intuibile, le certezze non convincono e le perplessità aumentano; tuttavia, l’unico modo per far sì che queste previsioni divengano realtà è quello di affiancare al Quantitative easing politiche economiche efficienti per ogni singolo Stato membro. Se è vero che, come ha affermato Mario Draghi riferendosi alla Grecia, «il programma di acquisto titoli potrebbe costituire uno scudo per evitare l’effetto contagio per alcuni Paesi della zona euro», è anche necessario che ogni singolo Paese europeo si impegni a creare le condizioni affinchè l’efficacia dell’operazione sia la massima raggiungibile.
Claudio Pennisi
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