Nonostante la Costituzione del 1990 preveda la parità dei sessi e la non discriminazione all’interno del Paese, il rigido stampo patriarcale che caratterizza da sempre lo Stato nepalese colloca ancora la donna in uno status di inferiorità. Tale violenza di genere tocca diversi aspetti della società: in ambito scolastico, una grande percentuale della popolazione femminile non riceve un’adeguata istruzione, cosicché l’analfabetismo resta uno degli ostacoli principali al miglioramento della condizione femminile; in ambito sanitario, i servizi sono del tutto inadeguati e le donne, a causa di discriminazioni alimentari legate al periodo dell’infanzia (vengono nutriti meglio e maggiormente i maschi), sono soggette a pessime condizioni di salute fisica; in ambito domestico e pubblico, infine, queste ultime sono vittime di violenze, quali abusi sessuali sul posto di lavoro e in casa, stupri e anche tratta di esseri umani. Generalmente, le motivazioni di simili azioni sono riconducibili a superstizioni sociali o a tabù legati alla figura femminile.
Adesso, una speranza sembra essersi accesa: il 28 ottobre, con 327 voti a favore, Bidhya Devi Bhandari, cinquantaquattrenne femminista, è stata eletta capo di Stato. Appartenente al Partito Comunista del Nepal, la Bhandari ha avuto già un ruolo importante nella stesura della Carta Costituzionale. In qualità di Presidente, sarà ora a capo delle forze armate e ricoprirà un ruolo per lo più cerimoniale: nel discorso inaugurale, però, ha promesso che si batterà per assicurare una più equa uguaglianza sociale tra i vari gruppi etnici, sostenendo i diritti delle donne non solo per migliorare le loro condizioni di vita, ma anche per garantire loro una maggiore presenza in Parlamento. La suddetta elezione, quindi, rappresenta una vera e propria svolta storica nello scenario sia politico sia sociale del Paese e preannuncia un cambiamento necessario che il Nepal deve attuare per raggiungere le pari opportunità.
Martina Lo Giudice
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