La Corte d’Assise di Taranto, a conclusione del primo grado di giudizio, ha emesso le condanne in merito al processo “Ambiente svenduto“, riguardante il disastro ambientale causato dall’ex Ilva durante il periodo di gestione (1997-2013) dei fratelli Riva.
Quest’ultimi, in particolare, sono accusati di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari, alla omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Il pubblico ministero aveva chiesto 28 anni di reclusione per Fabio Riva e 25 anni per il fratello Nicola, ma la condanna è stata di 22 anni per il primo e 20 per il secondo.
Tra i 47 imputati, anche l’ex presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, condannato a 3 anni e mezzo di carcere. Questi è accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto, secondo gli inquirenti, avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia (agenzia per l’ambiente), Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione della stessa agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall’Ilva.
Secondo l’accusa, l’ex leader di Sinistra ecologia e libertà avrebbe minacciato di non confermare l’incarico di Assennato, se non avesse ridotto i livelli di sostanze nocive riportati in una nota di Arpa sulla qualità dell’aria di Taranto, in cui si chiedeva una riduzione del ciclo produttivo dell’acciaieria.
Lo stesso Vendola ha dichiarato di essere estraneo ai fatti e che farà ricorso in appello. L’ex presidente della regione ha poi scritto così su Twitter: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. Una sentenza che colpisce chi non ha mai preso un soldo dai Riva, che ha scoperchiato la fabbrica, che ha imposto leggi contro i veleni. Ho taciuto per 10 anni, difendendomi nelle aule di giustizia. Ora non starò più zitto“.
Giorgio Assennato, invece, è stato condannato a 2 anni per favoreggiamento, mentre l’ex presidente della provincia di Taranto, Gianni Florido, ha ricevuto una condanna a 3 anni. Quest’ultimo risponde di una tentata concussione e di una concussione consumata che avrebbe commesso, in concorso, con l’ex assessore provinciale all’ambiente Michele Conserva (condannato a 3 anni) e l’ex responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà (condannato a 21 anni e mezzo).
Sentenza pesante, anche, per Lorenzo Liberti, ex consulente della Procura, condannato a 15 anni di reclusione e accusato di aver accettato una tangente (100mila euro) per modificare una perizia. Quattro anni ad Adolfo Buffo, ex direttore dell’impianto siderurgico e attuale direttore generale di Acciaierie Italia (la società gestita dal colosso dell’acciaio ArcelorMittal e Invitalia che controlla l’ex Ilva).
Condannato a 5 anni e mezzo il legale dell’azienda, l’avvocato Francesco Perli. A vario titolo erano contestati i reati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale doloso, all’avvelenamento di acque e sostanze alimentari, getto pericoloso di cose, omissione di cautele sui luoghi di lavoro, due omicidi colposi in relazione alla morte sul lavoro di due operai, concussione, abuso d’ufficio, falso ideologico e favoreggiamento.
È stato, invece, assolto l’ex presidente del consiglio di amministrazione delle acciaierie, Bruno Ferrante, per il quale l’accusa aveva chiesto 17 anni.
Dopo l’emissione delle condanne, non sono tardate ad arrivare le dichiarazioni delle istituzioni tarantine e pugliesi. Il sindaco della città pugliese, Melucci, ha dichiarato: “Siamo commossi, per quelli che abbiamo perduto e per quelli che qui ancora si ammalano. È stata una strage, lunga decenni, per il profitto. Oggi lo Stato italiano riconosce le sofferenze dei tarantini, riconosce gli abusi che si compiono per l’acciaio. Da questo momento nessun esponente di Governo potrà più affermare con leggerezza che a Taranto ci si ammala e si muore di più perché consumiamo troppe merendine o troppe sigarette, oppure perché le nostre statistiche e gli studi prodotti negli anni non sono fondati”.
Anche l’attuale presidente della Puglia, Michele Emiliano, si è espresso in merito: “La giustizia ha finalmente fatto il suo corso accertando che i cittadini di Taranto hanno dovuto subire danni gravissimi da parte della gestione Ilva facente capo alla famiglia Riva. I delitti commessi sono gravissimi e sono assimilabili a reati di omicidio e strage non a caso di competenza della Corte d’Assise al pari di quelli per i quali è intervenuta la pesantissima condanna. La sentenza è un punto di non ritorno che deve essere la guida per le decisioni che il Governo deve prendere con urgenza sul destino degli impianti. Gli impianti a ciclo integrato (che hanno determinato la morte di innumerevoli persone tra le quali tanti bambini) devono essere chiusi per sempre e con grande urgenza per evitare che i reati commessi siano portati ad ulteriori conseguenze e ripetuti dagli attuali esercenti la fabbrica. L’attività industriale attuale a ciclo integrato a caldo va immediatamente sospesa e si deve decidere il destino dell’impianto e dei lavoratori”.
Proprio per quanto riguarda gli impianti, cosiddetti, “a caldo” dell’ex Ilva, la Corte d’Assise di Taranto ha disposto la confisca, anche se questi resteranno attivi fino al giudizio della Cassazione. Ricordiamo per “impianti a caldo” si intendono i parchi minerari, altiforni, acciaierie e altre aree di lavorazione di gas e metalli.
A conclusione della sentenza la presidente della Corte, Stefania D’Errico, ha anche disposto diversi ordini di risarcimento provvisori per le persone coinvolte dai danni ambientali causati dall’ex Ilva.
Un primo passo importante verso la chiusura di questa brutta vicenda che va, ormai, avanti da anni è stato fatto. La giustizia deve fare e sta facendo il suo corso. Come in ogni vicenda, negativa o positiva che sia, anche in questa vi è una morale: d’acciaio, devono essere i patti da stringere per tutelare l’ambiente, il nostro ambiente.
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