Giovanni Brusca, lo “scannacristiani“, è tornato in libertà (vigilata) dopo 25 anni di prigionia. Colui che ha premuto il telecomando a Capaci provocando l’attentato a Giovanni Falcone e sciolto il piccolo Giuseppe Di Matteo nell’acido, nella giornata di ieri ha lasciato il carcere in virtù della legge del 13 febbraio 2001. L’ex boss mafioso, scegliendo di divenire un “collaboratore di giustizia”, ha usufruito degli sconti di pena previsti dalla legge.
Nel suo caso, infatti, sono stati utilizzati i benefici previsti per i collaboratori “affidabili”. Di ciò se n’era tenuto conto nel calcolo della condanna (26 anni di prigionia), ma la “buona condotta” avuta in carcere gli ha permesso di avere anche alcuni giorni premio di libertà e l’accorciamento della pena.
Il boss di San Giuseppe Jato, fedelissimo di Totò Riina, era stato arrestato nel 1996, insieme al fratello, nel suo covo in provincia di Agrigento. Figlio d’arte (il padre Bernardo, capomafia, è morto in carcere), Brusca ha sempre ammesso le proprie responsabilità in merito alla strage di Capaci e ai vari delitti che non hanno risparmiato neanche donne e bambini. Proprio quest’ultimi fatti, gli hanno assegnato il soprannome di “U verru“, ovvero il porco.
Nel “curriculum” dell’ex killer di Cosa Nostra, tra i tanti omicidi, l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo (12 anni). Il ragazzino, figlio dell’ex mafioso Santino Di Matteo (divenuto poi collaboratore di giustizia), era stato rapito per indurre il padre a ritrattare. Dopo 25 mesi di “prigionia”, il piccolo Giuseppe, fu strangolato e il cadavere non fu mai ritrovato in quanto disciolto in un fusto di acido nitrico.
Dopo la scarcerazione di Brusca, non sono tardate ad arrivare le dichiarazioni di sdegno per quanto accaduto. Tra i primi a parlare, proprio l’ex boss Santino Di Matteo: “Lo Stato si è fatto fregare“. In un’intervista al Corriere della Sera, ha dichiarato: “Ha sciolto mio figlio nell’acido, ha strangolato una ragazza incinta, Brusca non appartiene alla razza umana: se lo trovo per strada non so cosa succede”.
In merito, si è espressa anche Tina Montanaro, vedova di Antonio Montanaro (caposcorta di Giovanni Falcone) rimasto anch’egli ucciso nella Strage di Capaci, insieme alla moglie del giudice, Francesca Morvillo, e altri due agenti della scorta: Vito Schifani e Rocco Dicillo. La donna, oggi in polizia, sempre in giro per le scuole per raccontare chi era il marito, in un’intervista all’Adnkronos ha dichiarato: “Sono indignata, sono veramente indignata. Lo Stato ci rema contro. Noi dopo 29 anni non conosciamo ancora la verità sulle stragi e Giovanni Brusca, l’uomo che ha distrutto la mia famiglia, è libero. Sa qual è la verità? Che questo Stato ci rema contro. Io adesso cosa racconterò al mio nipotino? Che l’uomo che ha ucciso il nonno gira liberamente? Dovrebbe indignarsi tutta l’Italia e non solo io che ho perso mio marito. Ma non succede. Queste persone vengono solo a commemorare il 23 maggio Falcone e si ricordano di ‘Giovanni e Paolo’. Ma non si indigna nessuno. C’è una giustizia che non è giustizia“.
Rattristita, ma più calma rispetto alla vedova Montanaro, la sorella di Falcone, Maria Falcone: “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso. Ogni altro commento mi pare del tutto inopportuno”.
La Corte d’Appello di Milano ha deciso che Brusca, “u verru”, sarà sottoposto a: controlli, protezione e quattro anni di libertà vigilata. Lo Stato e la giustizia italiana non hanno offerto una bella immagine di sé per quanto accaduto, ma (forse) non si poteva fare altrimenti. La legge è legge. La nostra completa vicinanza ai familiari delle vittime, gli unici ad aver subito una “condanna definitiva”: la scomparsa dei loro cari.
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