È già partita la stagione degli incendi in Sicilia. Non appena il governo ha sancito le prime riaperture post “zona arancione” sono apparsi i primi incendi che da anni colpiscono l’isola.
Negli anni sono state molteplici le zone colpite: la riserva dello Zingaro, quella di Cavagrande e di recente è toccato alla riserva di Vendicari per citarne alcune. Dati alla mano ogni anno la Sicilia perde migliaia di ettari di bosco. Nel 2017 sono andati in fumo 34.221 ettari tra zona boschiva e non boschiva, pari al 21% del totale nazionale, un dato allarmante che fa della Sicilia la regione costantemente più colpita.
Negli ultimi 40 anni la Sicilia ha avuto oltre 20 mila incendi che hanno distrutto oltre 500 mila ettari tra bosco e vegetazione. In pratica sono spariti 5000 km quadrati, un quinto della superficie siciliana. Numeri horror che impattano anche visivamente.
Ma perché tutto ciò? Com’è possibile che annualmente non si riesca a porre un limite alla distruzione della macchia mediterranea? Chi sono i responsabili?
Domande che puntualmente non ottengono una risposta chiara.
La Regione Siciliana ha i suoi piani antincendio, aggiornati e rivisti annualmente, qualcosa però sembra non funzionare. A maggio 2021, l’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato la legge che prevede pene più severe per i piromani che verranno colpiti nel loro patrimonio. Viene rafforzata la sorveglianza boschiva con velivoli comandati da remoto (i droni). La legge adesso dovrà essere vagliata dal Parlamento nazionale, nel frattempo però la Sicilia brucia e spende migliaia di euro.
L’Italia possiede un’imponente flotta aerea di Canadair che ci permette di primeggiare in Europa, la gestione è affidata ai privati, cosa che a molti fa storcere il naso. Un’ora di volo di un Canadair corrisponde a 15.000 euro, mentre un elicottero antincendio costa 5.000 euro l’ora. Qualcuno vorrebbe una gestione totalmente pubblica, ma una flotta così grande ha un costo non indifferente per le casse statali.
Impossibile poi non parlare dell’esercito dei forestali, una storia tutta siciliana che non trova una facile risoluzione. Si stima che la Sicilia abbia circa 20.000 forestali, la metà di tutta Italia: 1 forestale ogni 17 ettari di bosco. Tutto ciò ha costi elevati. Oltre questi freddi numeri però ci sono storie di vite umane, di precariato e di sforzi per portare un degno salario a casa.
Molto spesso tutto questo viene dimenticato e ci si lascia andare subito in accuse generalizzate. Il forestale è vittima, suo malgrado, di un sistema politico perverso che è sfuggito di mano, un carrozzone ingombrante di cui nessuno riesce ad occuparsi in maniera decisiva.
L’accusa classica è quella del forestale che appicca gli incendi, ma non esiste un chiaro identikit del piromane. Si parla di piromani appartenenti alla “mafia dei pascoli”, si parla di piromani appartenenti all’antincendio stesso che con il loro pronto intervento riceverebbero poi dei cospicui rimborsi, si parla di società private che traggono enormi vantaggi dagli incendi. Insomma, non esiste una sola verità, ci sono tanti e troppi dubbi su chi possano essere i responsabili di tali roghi.
Si aggiungono poi le difficoltà nel risalire ai responsabili. Ciò ha comportato una spasmodica ricerca di un responsabile a cui addossare le colpe alimentando una spirale di diffidenza nei confronti di coloro che operano nel mondo dell’antincendio. Non esistono colpevoli specifici, esiste solamente la sconfitta di noi tutti non in grado di salvaguardare ciò che di più prezioso abbiamo: il bosco.
Un problema culturale che ci porta all’autodistruzione. Al di là della questione economica, non si riesce a comprendere come mai in Sicilia i boschi vengano snobbati mentre altrove il bosco diviene una risorsa da sfruttare senza arrecare danni. Forse, oltre ad un’efficace prevenzione, bisognerebbe lavorare più sulla sensibilizzazione e confidare nelle nuove generazioni più attente alle tematiche ambientali.
Benito Rausa
Si ringrazia Giuseppe Di Vita per la foto.
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