Secondo quanto riportato dal rapporto pubblicato da “Amnesty International”, l’esercito birmano sarebbe responsabile di stupri, violenze e torture ai danni della minoranza musulmana dei rohingya.
Negli ultimi mesi l’esercito birmano avrebbe sistematicamente perpetrato violenze e repressioni contro la minoranza musulmana dei rohigya, macchiandosi di veri e propri «crimini contro l’umanità», stando a quanto denunciato nel rapporto pubblicato dalla nota ONLUS per i diritti umani Amnesty International, lo scorso 19 dicembre. Una denuncia giunta solo in questi ultimi giorni per fare luce su una crisi in ogni caso non nuova agli occhi della comunità internazionale, giacché si tratta di una barbarie in atto già da tempo nello stato di Rakhine, che ad oggi ospita circa un milione di rohingya, come attestato dall’intervento dello scorso novembre di un funzionario delle Nazioni Unite il quale, riguardo alla situazione birmana, parlava di una «pulizia etnica in atto».
Quella dei rohingya è una comunità di religione musulmana, ad oggi considerata una delle minoranze più perseguitate al mondo. Dure repressioni da parte del governo nei loro confronti, infatti, sono attestate dal 1970, e attualmente circa 140mila rohingya vivono in campi ghetto dai quali non possono allontanarsi senza il permesso delle autorità. Per poter ottenere la cittadinanza devono poter dimostrare che vivono in Birmania da almeno 60 anni – il che è spesso impossibile per la maggior parte di loro. Così, considerati alla stregua di semplici migranti illegittimi, i loro diritti allo studio, al lavoro, all’assistenza sanitaria e la libertà di fede sono pressoché limitati.
L’esercito birmano ha prontamente negato ogni accusa rivoltagli, giustificando il proprio operato come un’offensiva anti-terrorismo, benché si parli dello Stato più povero dell’intera regione. Nonostante la dichiarazione, basandosi su ciò che emerge dal rapporto diffuso da parte dell’organizzazione non governativa, non sembra esserci spazio a equivoci: le interviste condotte con trentacinque vittime e le testimonianze di almeno venti operatori umanitari ci descrivono una realtà raccapricciante, fatta di esecuzioni sommarie, omicidi casuali, arresti arbitrari, incendi e saccheggi a proprietà e villaggi, ma anche stupri e torture ai danni di semplici civili, in particolare donne e bambini. Questi ultimi infatti, lungi dall’essere tutelati da simili violenze, specialmente quando hanno un’età fra i 13 e i 18 anni, incorrono in un’immediata eliminazione se sospettati di qualsiasi collusione con il terrorismo islamico, sulla base peraltro di criteri arbitrari.
Amnesty International ha, per di più, denunciato una forte limitazione dei suoi accessi alle zone interessate da questi interventi militari, tali da impedirle di calcolare il numero esatto delle vittime. L’organizzazione ha poi stimato, dal mese di ottobre ad oggi, un flusso migratorio costante di almeno 27 mila profughi rohingya attraverso i confini con il Bangladesh, che hanno incrementato le tensioni con le comunità già estremamente povere situate in quelle terre, motivo per cui ha rivolto un appello al governo birmano e al suo ministro degli Esteri Aung San Suu Kyi, affinché condannino pubblicamente le terribili violazioni dei diritti umani in atto e acconsentano all’avvio di un’indagine parziale con la collaborazione delle Nazioni Unite. Il rapporto dell’organizzazione non governativa è stato pubblicato in concomitanza con il vertice a Rangoon dell’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN), durante cui il problema è stato ampiamente discusso. Il governo birmano ha dichiarato di aver costituito una squadra investigativa guidata da Myint Swe, ex vice-presidente, e anche il governo malese direttamente coinvolto nella questione (dato l’ingente flusso migratorio che ha interessato anche i suoi territori) ha esortato gli esponenti dei Paesi limitrofi a far sì che questa crisi venga affrontata a livello regionale mediante un coordinamento dei territori per gli aiuti umanitari e mediante indagini sulle implicazioni dell’esercito birmano.
Diana Avendaño Grassini
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