A 100 anni dalla morte di Giacomo Matteotti, ricordiamo la memoria di colui che sfidò il fascismo a costo della vita. Con lungimiranza, Matteotti aveva ben compreso il futuro nero che avrebbe vissuto l’Italia sotto il potere di Mussolini.
Il 10 giugno 1924 moriva Giacomo Matteotti, allora segretario del Partito Socialista Unitario, per mano di una squadra fascista guidata da Amerigo Dumini. Come i fatti hanno dimostrato, il movente dell’omicidio fu di natura politica in quanto, il rapimento e il conseguente omicidio avvennero dopo le sue denunce riguardo alle attività illegali del nascente regime di Mussolini. Il 30 maggio 1924 Matteotti denunciò presso la Camera dei Deputati non solo la non validità delle elezioni del 6 aprile precedente, ma anche il clima di violenza e intimidazione in cui si svolsero. Nonostante ciò, le sue parole valsero ben poco e la sua proposta non ottenne seguito, rendendolo quindi il principale oppositore di Mussolini.
Le sue parole subito dopo il discorso di denuncia del modus operandi di Mussolini furono rivolte a Giovanni Cosattini al quale disse: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me”. Parole dure di ulteriore accusa nei confronti del Partito Nazionale Fascista, ma che nascondevano un fondo di verità poi rivelatasi.
I dettagli sulla sua morte, avvenuta nel pomeriggio del 10 giugno di 100 anni fa, sono stati chiariti dalle indagini. In seguito al rapimento e al pestaggio, Matteotti venne ucciso nell’autovettura con cui era stato portato via. Furono i discorsi apertamente ostili a Mussolini a segnare il suo destino di morte, chiaro indizio del silenzio coatto che sarebbe calato sull’Italia con Mussolini al governo.
Nonostante i tentativi di uscirne pulito in un periodo di grande debolezza politica, nel gennaio del 1925 Mussolini confermò le proprie responsabilità sull’accaduto. Inaspettatamente, questa mossa gli valse la rimonta, poiché l’ammissione rianimò gli animi dei suoi sostenitori. Tale successo portò nello stesso anno alle leggi fascistissime. L’opposizione si ridusse al nulla e, come la storia ci insegna, Mussolini riuscì a dominare in maniera indiscriminata tutto il panorama politico italiano per vent’anni.
In occasione del centenario della sua morte, Mattarella ha partecipato alle onorificenze in memoria del deputato socialista ucciso dallo stato di violenza fascista. Il presidente della Repubblica ha deposto una corona di fiori sul monumento innalzato in memoria di Giacomo Matteotti. Il deputato ha incarnato un’alternativa possibile al futuro regime che invece incombette sull’Italia fascista. Il suo omicidio ha rappresentato di conseguenza un segno premonitore della violenza che i fascisti erano disposti a usare per ottenere il potere indiscusso.
“Il rapimento, cento anni or sono, del Deputato socialista Giacomo Matteotti, a cui fece seguito la sua crudele, barbara, uccisione, fu un attacco al Parlamento e alla libertà di tutti gli italiani e rappresentò uno spartiacque della storia nazionale“. Con queste parole Mattarella ha accompagnato il momento volto alla commemorazione del ricordo di un’importante figura dell’antifascismo. Il Presidente ha proseguito affermando: “La violenza che, da subito, aveva caratterizzato le azioni del movimento fascista, dopo le aggressioni ai lavoratori organizzati nei sindacati e nelle cooperative, contro le Istituzioni, dai Comuni si rivolse al Parlamento quell’assassinio politico assunse una peculiare portata storica e simbolica. Lo Stato veniva asservito a un partito armato che si faceva regime, con la complicità della Monarchia”.
Mattarella ha aggiunto in suo ricordo: “Il suo antifascismo poggiava su questa visione, opponendosi alle violenze esercitate contro i lavoratori dalle azioni squadriste. Manifestazione di un impegno che avrebbe trovato poi eco nella lotta di Liberazione e nella scelta repubblicana da parte del popolo italiano con lucidità Matteotti vide la progressiva demolizione delle libertà garantite dallo Statuto Albertino da parte del fascismo e ne denunciò conseguenze e implicazioni, mentre nelle classi dirigenti italiane non si faceva strada analoga coscienza. Il coraggio che animò la sua ultima, drammatica denuncia dai banchi di Montecitorio costituisce non soltanto un inno alla libertà e un testamento politico di perenne validità, ma un atto di fedeltà al Parlamento. Quel Parlamento che costituisce il cuore di ogni democrazia viva e che venne umiliato dal regime, sino alla sua soppressione“.
Il nostro Presidente della Repubblica lo ha definito un “martire della democrazia“. L’invito a rinnovare la memoria di un tale esempio d’opposizione , nasce dalla viva speranza che ciò che è stato non si ripeti più.
Fonte foto in evidenza: Point
Alessia La Porta
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Nata a Taormina nel 2001 sotto il segno del toro che gli ha conferito tanta pigrizia, ma anche caparbietà. Amante di tutto ciò che c’è di bello al mondo e delle belle lettere, dopo la maturità classica si è iscritta alla facoltà di lettere a Catania. Ha sin da piccola amato leggere e scrivere, passioni di cui non può fare a meno tanto da sperare un giorno di farne un lavoro. Sogna spesso troppo in grande, ma d’altronde, audantes fortuna iuvat, o no?