Il gender gap, ovvero la disparità di trattamento tra uomini e donne, è ancora una questione spinosa in molte parti del mondo, compresa l’Italia. Questa disparità si riflette in vari aspetti della società, e il mondo del lavoro non è immune da tali disuguaglianze. Affrontare il gender gap richiede un approccio olistico che coinvolga sia il settore pubblico che quello privato. Nel contesto lavorativo, l’impatto delle differenze di genere sembra essere più pronunciato nel settore privato rispetto a quello pubblico, spesso attribuibile alla mancanza di leggi e politiche specifiche a tutela delle donne nell’ambito lavorativo privato.
Nell’uguaglianza di genere, l’Europa sta facendo progressi nel garantire a pieno i diritti delle donne in tutti i settori. In Italia però la situazione, nonostante le leggi già approvate, va a rilento.
I dati parlano chiaro: nell’Europa occidentale, nonostante si sia registrato un progresso del 70% nella riduzione del divario nell’indice economico, persiste una differenza con l’Italia che si ferma al 25esimo posto su una classifica di 35 paesi (con un tasso di miglioramento dello 0,001%).
La disparità salariale è uno dei principali indicatori di questa disuguaglianza: le donne, in media, guadagnano ancora meno degli uomini, anche quando occupano ruoli analoghi. Questa disparità è attribuita a una combinazione di fattori, tra cui stereotipi di genere, discriminazione sul lavoro e la persistenza di modelli culturali tradizionali.
È bene notare che il gender gap non è diffuso uniformemente nell’intero mercato del lavoro, ma presenta un allarmante dislivello tra settore pubblico e privato.
Il settore pubblico è meno colpito in quanto regolato da norme specifiche che garantiscono una maggiore trasparenza e giustizia salariale rispetto al settore privato. Secondo i dati Eurostat, in Italia il pay gap (gender gap relativo alla retribuzione) nel settore pubblico ammonta al 4,1% rispetto al privato, dove invece si supera il 20%.
Il settore privato, da parte sua, presenta sfide più marcate sia in termini di opportunità lavorative che di retribuzione. Per le donne sembra quindi meno vantaggioso, non solo in confronto al settore pubblico ma anche in relazione all’equità di genere, cercare impiego o svolgere attività nel contesto privato. Questa disparità potrebbe derivare da diverse logiche che caratterizzano il settore privato, come i processi di selezione meno vincolati e (di conseguenza) meno obiettivi. Un maggiore impegno per assicurare chiarezza e imparzialità nei processi di assunzione, così come nella definizione delle retribuzioni e nelle opportunità di avanzamento professionale, potrebbe contribuire a ridurre la tendenza, anche se forse involontaria, a escludere le donne competenti dal settore privato o a retribuirle in modo non equo rispetto agli uomini.
Il settore privato ha quindi la responsabilità di affrontare la disparità di genere all’interno delle proprie organizzazioni. Le aziende stanno diventando sempre più consapevoli dell’importanza di promuovere un ambiente di lavoro equo e inclusivo. Le iniziative per colmare il gender gap includono politiche di parità salariale, programmi di sviluppo della leadership per le donne e misure per migliorare la flessibilità lavorativa. Tuttavia, ci sono ancora molte sfide da superare: gli stereotipi di genere sono spesso talmente radicati da persistere nel processo di assunzione e promozione, limitando sensibilmente la rappresentanza delle donne, soprattutto nei ruoli decisionali.
Per affrontare in modo efficace il gender gap, è essenziale che il settore pubblico e privato collaborino. Ad affermarlo è Helena Dalli, Commissaria europea per l’Uguaglianza nonché una delle voci più autorevoli in Europa in merito al gender gap e la promozione dei diritti delle donne.
Helena Dalli ha sottolineato l’importanza di un approccio integrato e globale per affrontare le disuguaglianze di genere, che preveda una stretta collaborazione tra settore pubblico e privato e che lavori non solo a livello legislativo, ma anche culturale. A suo dire sono necessarie non solo politiche di parità salariale e di inclusione nelle decisioni aziendali, ma anche programmi di formazione contro gli stereotipi di genere .
Helena Dalli le sue dichiarazioni in un’intervista: “Voglio che alle donne e alle ragazze venga garantito l’accesso a una vasta gamma di percorsi educativi cruciali in settori ove si sta investendo, quali le industrie verdi e le digitali. Come società, raggiungiamo il nostro pieno potenziale solo se utilizziamo tutto il nostro talento. È essenziale che i giovani siano inclusi e si battano per un’Europa più equa“.
In un periodo caratterizzato da crisi e regressione, si assiste a un preoccupante arretramento proprio nel momento in cui l’uguaglianza di genere è più essenziale che mai. Questa fase critica della società vede una riduzione degli sforzi per garantire parità e inclusione, una tendenza che minaccia di compromettere i progressi raggiunti in passato. A notarlo è Sima Sami Bahous, direttrice esecutiva dell’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Uguaglianza di Genere e l’Empowerment femminile, definita da António Guterres “una campionessa per donne e ragazze”.
La Bahous ha aperto il suo discorso all’A&F Live Closing the Gender Gap con parole forti: “Non è stato raggiunto nessuno degli obiettivi. Siate un esempio”. Secondo la x, infatti, mentre l’uguaglianza di genere dovrebbe essere una priorità incontestabile, ci troviamo di fronte a un inquietante passo indietro che richiede una riflessione profonda e azioni tempestive.
Il tutto risulta ancora più grave se consideriamo lo sforzo economico esiguo richiesto per raggiungere tali obiettivi: “Chiudere il divario di genere nei paesi in via di sviluppo costerebbe 360 miliardi di dollari all’anno. Se dovesse sembravi costoso, ricordate che è meno di due terzi di quanto si spende al mondo per il caffè ogni anno“, ha fatto notare la direttrice.
Tuttavia, è fondamentale considerare anche l’altro lato della medaglia, evidenziando situazioni in cui le percentuali e i dati sul gender gap vengono completamente ribaltati.
Questo accade, ad esempio, nel settore dei lavori ad alto rischio: parliamo soprattutto del settore minerario, manifatturiero o edile, che tendono a essere dominati dagli uomini. Questa dinamica rende questa fascia di popolazione sensibilmente più esposta al rischio di infortuni o morti sul lavoro. Lo dimostrano i dati: in Italia dei 240mila infortuni sul lavoro registrati nel 2023, 191mila sono uomini. Questi dati gettano luce non solo sulla differenza di impiego dei due sessi, ma anche sulla diversa distribuzione di essi nei vari settori, alcuni dei quali restano ancora saldamente ancorati alla mano d’opera maschile.
Per risolvere il gender gap occorre quindi tenere conto di ogni sfumatura di questo fenomeno, considerando anche le differenze settoriali in modo tale da intervenire in modo mirato per garantire una situazione di totale parità tra i sessi.
Il mondo non ha ancora raggiunto la piena uguaglianza di genere, né lo farà entro quest’anno. Persino raggiungere questo obiettivo entro il 2030 sarà una sfida impegnativa. Un dato allarmante evidenzia che, se continuiamo sulla stessa traiettoria, ci vorrebbero quasi cento anni per colmare completamente le disparità di genere. L’attuale andamento minaccia di perpetuare un’ingiustizia persistente, sottolineando la necessità di una riflessione profonda e di azioni decisive per invertire questa tendenza.
Solo attraverso una combinazione di politiche solide, cambiamento culturale, educazione e l’uso responsabile delle tecnologie emergenti possiamo sperare di costruire una società veramente equa e inclusiva per le generazioni future.
Fonte Foto in Evidenza: Forme
Giada La Spina
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