Gli alleati erano a conoscenza del massacro perpetrato dai nazisti ai danni del popolo ebraico durante la Seconda Guerra Mondiale? Lo storico Dan Plesch, docente presso l’Università di Londra, ha provato a svelare l’arcano nel corso di un’intervista concessa in esclusiva al noto quotidiano britannico The Indipendent, riportata in seguito da numerosi media internazionali. L’accademico inglese ha teorizzato su uno dei principali quesiti della storia del Novecento ancora avvolto in un’alone di mistero, raccogliendo documenti inediti provenienti direttamente dagli archivi segreti delle Nazioni Unite (utilizzati a Norimberga in sede di procedimento giudiziario) nel volume Human rights after Hitler, che ricostruisce dal punto di vista storico e giuridico la battaglia (vinta) per i diritti umani all’indomani della caduta del Terzo Reich, in particolar modo alla luce degli orrori commessi dai nazisti all’interno dei campi di sterminio, dove furono uccise all’incirca 15 milioni di persone negli anni del conflitto (1939-1945).
Non è la prima volta che si portano indietro le lancette della Storia per riaggiornare il racconto della Shoah, il termine più conosciuto del vocabolario semita con cui è altresi nota la distruzione del popolo ebraico. Nel dicembre 1942 gli Stati Uniti erano già entrati in guerra da un pezzo, eppure erano a conoscenza di ciò che avveniva ad Auschwitz così come a Treblinka attraverso le testimonianze rese dal governo di resistenza polacco (confinato a Londra dopo l’occupazione tedesca del settembre 1939) e da prigionieri militari del Reich che erano riusciti nell’intento di fuggire dai luoghi di detenzione. Tra le testimonianze più importanti vi fu senz’altro quella del militare polacco Jan Karsky, il quale già nell’autunno del 1942 riferì agli alleati in merito alla situazione di estremo pericolo a cui erano sensibilmente esposti gli ebrei nei territori posti sotto l’egida della Germania nazista.
Gabriele Mirabella
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