Muore il capitalismo italiano: le famiglie più facoltose dell’imprenditoria made in Italy emigrano. È accaduto di recente con la famiglia Pesenti, titolare da oltre trent’anni della Italcementi, ma che ha ormai ceduto ad un importante competitor straniero: la tedesca Heidelberg. Ma non è l’unico caso quello dei Pesenti. La Pirelli, ad esempio, ex colosso imprenditoriale italiano, è stata ceduta da Marco Tronchetti Provera alla cinese ClamChina. La FIAT degli Agnelli, invece, è diventata oggi FIAT-Chrysler con sedi divise tra Londra ed Amsterdam.
Continuando, la stessa sorte è toccata all’impresa di servizi più importante d’Italia attiva nel settore delle telecomunicazioni, qual è la Telecom non più italiana, ma francese. Alcuni economisti come Shivardi, docente di economia industriale all’Università Bocconi, attribuiscono la responsabilità di tale sconfitta dell’imprenditoria nostrana ad una gestione familiare delle aziende medio-grandi perché risultano essere «poco adatte a evolversi nei global player che stanno guidando il consolidamento» a livello internazionale.
Purtroppo, però, non sono solo le aziende ad emigrare, ma anche gli imprenditori. Secondo, infatti, quanto riportato dal rapporto italiani nel mondo 2014, elaborato dalla Fondazione Migrantes della CEI, sono fuggiti dal nostro Paese anche molti giovani imprenditori italiani. È quanto accaduto nelle Marche dove numerosi di essi, dopo la chiusura delle proprie aziende, hanno deciso di trasferirsi all’estero alla ricerca di nuove opportunità imprenditoriali e di un costo della manodopera più basso. Le destinazioni più ambite sembrano essere la Germania, il Regno Unito e la Svizzera. A questo punto bisogna chiedersi se il Belpaese riuscirà a fermare questa fuga di imprenditori che potrebbero ridare speranza all’Italia, qualora continuassero ad investire in patria. Dovrà certamente essere il governo in carica a dare loro un valido motivo per restare.
Ester Sbona
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