La nuova legge sull’editoria, approvata il 4 ottobre scorso alla Camera, ha messo non poco in allarme i vertici RAI. Il testo, al nono articolo, sancisce che «Il trattamento economico di dipendenti, collaboratori e consulenti RAI, la cui prestazione professionale non sia stabilita da tariffe regolamentate, non può superare € 240.000 annui». I dirigenti di viale Mazzini si riuniranno in consiglio d’amministrazione il 9 novembre, discutendo dell’introduzione di questo vincolo che porrà numerosi freni alla programmazione televisiva nazionale. Infatti, d’ora in poi, non sarà possibile retribuire con un compenso maggiore ai 24mila euro annui nemmeno le star televisive che, solitamente, percepiscono stipendi molto più abbondanti.
L’amministratore delegato RAI, Antonio Campo Dall’Orto, si è rivolto al Ministero dell’Economia, senza però ricevere risposta. Un chiaramento arriva successivamente dal deputato del Partito Democratico Francesco Verducci, il quale ha contribuito alla stesura della legge, e ha dichiarato che «Il tetto vale per chiunque abbia un contratto diretto con la Rai. Quindi anche per gli artisti. Non è un provvedimento punitivo, ma una regola virtuosa che la uniforma alle altre aziende e che, a caduta, condizionerà virtuosamente tutto il sistema radiotelevisivo». Quest’ultime sono parole che non lasciano nulla di equivoco e sembra che non ci sarà modo di aggirare la clausola, che avrà, a detta dei membri del cda della radiotelevisione italiana, conseguenze drastiche.
Il provvedimento, infatti, andrebbe a privilegiare le televisioni private, che non subiscono tali restrizioni. In un settore altamente concorrenziale come quello dello spettacolo, la rete nazionale riscontrerebbe una forte difficoltà ad ingaggiare attori, conduttori o soubrette. In merito, l’avvocato Giorgio Assumma, esperto di diritto dello Spettacolo, ex presidente SIAE, si è espresso in questo modo:«La Rai verrebbe privata del potere contrattuale, svantaggiata sul mercato nei confronti della concorrenza. Un fatto gravissimo, che potrebbe decretarne la crisi irreversibile. Si ricorrerà sempre di più ad appalti esterni, in cui è il produttore a pagare il compenso dell’artista». In conclusione, il provvedimento potrà essere giudicato sotto due punti di vista differenti: da un lato, le evidenti limitazioni al servizio televisivo pubblico; dall’altro, un corretto contenimento delle eccessive retribuzioni del mondo dello spettacolo. D’altronde, si sa, ogni cosa gode dei suoi pro e i suoi contro.
Francesco Laneri
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