Giulio Wilson è un cantautore unico nel suo genere. Il 4 novembre di quest’anno uscirà il suo disco d’esordio con importanti collaborazioni, come quelle dello scrittore Roberto Piumini, del chitarrista Marco Di Maggio, del produttore Eddy Mattei e della scrittura e della voce di Bobby Solo. Noi di Voci di Città, l’abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Eclettico e dalle idee chiare, Giulio Wilson oltre ad essere cantautore, è anche produttore di vini biologici, ristoratore ed enologo. Cresciuto nelle campagne fiorentine, si appassiona alla musica da giovanissimo studiando piano forte e fondando la sua prima band con gli amici, Antisgamo, della quale era tastierista e compositore. Pochi anni dopo è entrato a far parte di Fiati sprecati, una band popolare agli artisti di strada. La sua passione per la musica andava via via crescendo e portò Giulio lontano, fino in America, che è stata un pò una sua “seconda patria” in quanto gli ha donato tantissimi sogni e nuove esperienze. Infatti, nel 2010 si trasferì per un periodo ad Harlem (New York) per perfezionare la tecnica alle tastiere assieme a Marco Chelo, docente di jazz italoamericano.
Giulio ha inciso assieme a Eddy Mattei (collaboratore di Zucchero), un EP contenente 5 brani dei quali è autore dei testi e delle musicalità caratterizzate dai suoni country mescolati con melodie italiane, che da origine ad un accostamento stimolante e davvero unico nel suo genere. Inoltre, il cantautore quest’estate assieme a Bobby Solo ha aperto i concerti in tutte le Regioni italiane. Per di più, ha partecipato al Festival di Castrocaro 2016 arrivando semifinalista e ha vinto il primo premio del Festival Giancarlo Bigazzi, organizzato a Lucca per ricordare il famoso autore italiano. Il giovane cantautore, ha lavorato a lungo scrivendo brani per il suo album Soli nel Midwest che sarà disponibile il 4 novembre e anticipato in radio dal singolo Hey Jack, mettendoci con cura e attenzione tutti gli arrangiamenti caratterizzati da suoni country e sonorità innovative. Ecco la nostra intervista per saperne di più sulla storia di Giulio Wilson e del suo album d’esordio.
La tua passione per la musica è nata quando eri giovanissimo studiando piano forte e suonando nella band Antisgamo. Cosa ti ha fatto capire che da grande saresti diventato un cantautore?
«Ho sempre avuto qualcosa da esprimere, tuttora ho ancora tantissimo da esprimere, non c’è stato un punto in cui ho capito che sarei diventato cantautore. Nonostante stia uscendo con questo album il 4 di novembre, ho ancora tanto da mettere in pratica e questo non è di certo un arrivo ma è un punto di partenza».
Oltre ad essere cantautore, sei anche produttore di vini biologici, ristoratore ed enologo. Come sei riuscito a mettere insieme tutte queste passioni?
«Si, sono nato in campagna, vivo in campagna e tuttora lavoro in campagna e sono un persona molto dinamica. Ascolto la musica country, che ha dei suoni “rurali” e penso che sia una musica che mi rappresenta. Comunque non ho fatto il country classico, ho creato una rivisitazione del country e ho mischiato le melodie italiane con strumenti prettamente italiani e strumenti che sono più americani. Per esempio, i violini e pianoforti che sono strumenti tipicamente italiani con benjo, chitarre acustiche e chitarre resofoniche che sono più vicine a sonorità americane. Il risultato è un ibrido, una contaminazione e scrivo melodicamente in italiano e contorno di un genere tipico americano».
C’è un autore/cantautore che ti ha ispirato in particolare?
«Ho ascoltato un po’ di tutto nella vita. Quando ero piccolo ascoltavo dalla musica classica alla dance, non mi sono mai imposto limiti. Tuttora ascolto la musica perché più che altro mi piace emozionarmi. Non ho delle icone di riferimento, non ho un artista di riferimento, non dico lui è per me è il top… si, magari mi piace qualcosa di un artista o mi piace un periodo di un artista, ma non ho la “fiammata”, non sono il fan sfegatato di qualcuno. Ho ascoltato tanti cantautori americani country ma anche non country, ad esempio tanti altri cantautori emergenti. Ascolto più cantanti emergenti che cantanti affermati a dire il vero. mi piacciono tantissimo perché hanno tanto da dire e nonostante tutto si adatta allo scritto e le note sono “secche”, ogni mano che suona una nota è diversa e si crea sempre qualcosa di diverso, ed è questo che mi piace tanto. Le contaminazioni ci sono sempre state nel mondo come Mozart ispirato da Vivaldi, Michael Jackson da James Brown o Totò da Charlie Chaplin, quindi tutti hanno preso da qualcuno, ma la è proprio questa la forza dell’originalità… Anche noi nella vita prendiamo ciò che ci insegnano i nostri genitori, la scuola, la nostra esperienza, quindi tutto ciò si riflette nella musica. Ad esempio, da ragazzino ascoltavo gli 883 e sicuramente hanno influito anche loro, inutile negarlo! Poi, con tutto il rispetto degli 883, mi sono addentrato in cose più diverse e più profonde, magari culturalmente più avanzate».
Il 4 novembre pubblicherai il tuo disco d’esordio “Soli nel Midwest” che hai realizzato assieme a Roberto Piumini, Eddy Mattei, Marco Di Maggio e Bobby Solo. Come sono nate queste collaborazioni?
«Le collaborazioni non sono state cercate appositamente, sono nate naturalmente. Quella di Eddy Mattei è nata un po’ per caso: ci siamo incontrati ad escursione e abbiamo legato, mentre a Bobby Solo ho mandato dei provini e lui li ha ascoltati per poi richiamarmi. Siamo entrati subito in sintonia . Una storia carina, è quella di Piumini perché mia mamma mi leggeva una sua filastrocca da bambino ed ora è incredibile arrivare a 33 anni e poter cantare due brani con il testo firmato da lui stesso. Gli scrittori non sono tanto in grado di scrivere sulle note, perché ci vuole una certa capacità ritmica e anche di fonetica perché la musica comporta di utilizzare un linguaggio musicale ed è un prodotto che deve andare in radio».
Abbiamo ascoltato il tuo singolo “Hey Jack” che anticipa in radio il tuo disco. Hai detto che per te questa canzone rappresenta un viaggio della vita per diventare qualcuno, ha un significato molto profondo e poetico, quel è il messaggio che vuoi mandare?
«In realtà, non è tanto diventare qualcuno, è lasciare qualcosa a qualcuno, o meglio, ciò che lascio e ciò che mi ritrovo. Sostengo che la vita non finisce nel momento in cui si muore, ma c’è sempre qualcosa che continua e quello che continua è sicuramente quello che lasciamo in eredità a qualcuno».
Come pensi che il genere country possa arrivare anche ai giovani?
«Il country tradizionale, secondo me, è molto difficile che possa prendere anche i giovani. Sono generi un po’ particolari. La cosa più bella in un pezzo è il riuscire a farlo sentire proprio ad un’altra persona. Per me è un po’ una sfida, infatti farò ascoltare la mia musica nelle università italiane e vediamo cosa succederà. Sicuramente, è un genere che fa molto più effetto a persone un po’ più mature ».
Dove saranno i i tuoi prossimi tour? In che città possiamo ascoltarti?
«A parte nelle radio universitarie che si possono sentire tranquillamente via web. Sarò a Torino, Bologna, Parma, Prato, Siena e Viterbo. Poi arriveremo anche a Roma e Napoli»
Come immagini la tua vita in futuro?
«Penso che la mia vita rimarrà la stessa, nel senso che sto continuando a scrivere, sto pensando a nuove idee e sicuramente ho ancora qualcosa da dare. Progettare tante cose è la mia prerogativa, il secondo album spero che sia ancora migliore».
Katia Di Luna
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