ARABIA SAUDITA – Un poeta palestinese è stato recentemente condannato a morte da un tribunale saudita: il capo d’accusa imputato al convenuto è quello di apostasia (rifiuto della propria fede religiosa). A dedurre il tutto è Adam Coogle, ricercatore di Human Rights Watch in Medio Oriente, dopo aver analizzato accuratamente i documenti inerenti al processo. La Polizia religiosa del Paese ha arrestato Ashraf Fayadh nel 2013 ad Abha (zona locata nel Sud – Ovest dell’Arabia Saudita), lo ha rilasciato e nuovamente catturato agli albori del 2014. In prima istanza, il tribunale in questione lo aveva condannato a quattro anni di reclusione in carcere e a 800 frustate, ma dopo l’appello un secondo giudice ha stabilito la pena di morte per il poeta palestinese. La condanna di Fayadh si basa, non solo sulla testimonianza di un tale che afferma di averlo sentito imprecare Allah, Maometto e l’Arabia Saudita stessa, ma anche per il contenuto di un libro di poesie scritto tempo addietro. Tutto ciò affonda le sue radici nell’ordinamento giuridico musulmano, eretto, infatti, sulla legge islamica della Sharia, con giudici non semplici eruditi in materia giuridica, ma anche chierici estremamente conservatori di scuola wahhbita. Interpretando il caso secondo quest’ultima, i crimini di carattere religioso e, dunque, la blasfemia, la bestemmia e l’apostasia, sono punibili con la massima pena: la morte. Il caso sopra citato non è né il primo né l’ultimo: lo scorso gennaio, lo scrittore liberale Raif Badawi venne fustigato 50 volte dopo aver scontato 10 di anni di galera e 1000 frustate per blasfemia. I giudici sauditi, pertanto, decretano le condanne alla luce dell’interpretazione della lex islamica: dopo che un caso è stato analizzato dai magistrati inferiori, passa prima alle corti d’appello e poi alla Corte suprema; in seguito, solo il perdono del re può salvare il condannato.
La notizia suscita un certo scalpore per due motivi: i fronti comuni che il sistema giuridico saudita ha con quello in vigore nelle zone di Iraq e Siria soggiogate dall’ISIS. In entrambi gli ordinamenti, secondo quanto riporta left.it, l’omosessualità, il tradimento, l’assassinio e i crimini religiosi sono perseguibili con la morte; l’adulterio con la lapidazione, il tradimento del partner con 100 frustate; il furto con l’amputazione della mano destra e la rapina a mano armata con la mutilazione sia delle mani che dei piedi. Le uniche differenze che sussistono sono: la condanna per calunnia o uso di alcool (80 frustate secondo l’ISIS, a discrezione del giudice per l’Arabia Saudita) e il furto con l’assassinio (crocifissione per l’ISIS, morte per l’Arabia Saudita).
I RAPPORTI TRA ITALIA E ARABIA – Ha suscitato diverse polemiche, infatti, la visita del Premier italiano Renzi nel territorio in questione. Il Paese saudita è tra i primi luoghi di esportazione d’armi per Finmeccanica e altre imprese italiche di produzione e commercio di armamenti. Soltanto il 30 ottobre, secondo diverse ONG pacifiste, il cargo 4K-SW888 Boeing 747, di proprietà della compagnia aerea azera Silk Way Airlines, è decollato da Cagliari colmo di parecchie tonnellate di bombe della RWM Italia, azienda bresciana che fa capo al gruppo tedesco Rheinmetall, con relativi impianti in Sardegna. Inoltre, un secondo carico sarebbe partito il 18 novembre. Tale collaborazione prosegue da svariati anni: si stimano, difatti, 5.000 pezzi esportati, per un guadagno complessivo di 70.000.000 di euro. Wikileaks ha persino informato, tramite la diffusione di diversi documenti segreti governativi, di come l’Arabia sia tra i primi finanziatori del terrorismo internazionale: essa è pure impegnata in un conflitto contro lo Yemen, ove le violazioni dei diritti umani e il massacro di civili sono all’ordine del giorno. Come dichiarato da Kamel Daoud sul New York Times, «l’Arabia Saudita wahabita è un ISIS che ce l’ha fatta»: allora è giusto non condannarla, a livello internazionale, per violazione dei diritti umani? Ed è altresì corretto farci questo genere di commercio? Una cosa è certa: per quanto riguarda l’ordinamento giuridico, Califfato e Arabia Saudita sono in linea di massima la stessa cosa, l’unica differenza sta nel riconoscimento come Nazione da parte dell’ONU.
Francesco Raguni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Articoli di proprietà di Voci di Città, rilasciati sotto licenza Creative Commons.
Sei libero di ridistribuirli e riprodurli, citando la fonte.
Ti piacerebbe entrare nella redazione di Voci di Città? Hai sempre coltivato il desiderio di scrivere articoli e cimentarti nel mondo dell’informazione? Allora stai leggendo il giornale giusto. Invia un articolo di prova, a tema libero, all’indirizzo e-mail entrainvdc@vocidicitta.it. L’elaborato verrà letto, corretto ed eventualmente pubblicato. In seguito, ti spiegheremo come iscriverti alla nostra associazione culturale per diventare un membro della redazione.