Il 2 aprile 1982 è una data che segna per sempre i rapporti tra Argentina e Regno Unito. I sudamericani decidono di riprendersi le Isole Malvinas, un arcipelago situato nell’Atlantico meridionale, che i britannici avevano conquistato nel 1833, edificando una base navale e ribattezzandolo con il nome di Falkland.
L’Argentina, con l’Operazione Rosario, riconquista le Malvinas in meno di undici ore. Ma a giugno, dopo due mesi di sanguinose battaglie che causeranno più di mille morti e quasi duemila feriti, le Falkland tornano al governo di Margareth Thatcher. Da quel momento, la relazione tra sudamericani e britannici – in particolare inglesi – sarà segnata da una rivalità profonda. Che toccherà anche lo sport. E gli incroci calcistici tra Argentina e Inghilterra, che si trasformeranno in sfide all’ultimo sangue, in cui a farla da padrone saranno contrasti sconsigliati ai deboli di cuore, provocazioni e polemiche. Ma anche tante emozioni.
Il primo match dopo le tensioni politiche ha fatto storia: ci riferiamo ai quarti di finale di Messico ’86, con Maradona protagonista. Ma oggi vogliamo parlarvi di altro. Di una sfida nella sfida, tra due grandi campioni: Diego Simeone e David Beckham. Due centrocampisti con caratteristiche diametralmente opposte. Uno – El Cholo – con un soprannome da guerriero azteco, e l’altro – lo Spice Boy – con un nickname da red carpet.
Simeone è stato un mediano d’interdizione, puntuale negli inserimenti, letale nei colpi di testa, ma con un’intelligenza tattica che ha fatto le fortune di Atletico Madrid, Inter e Lazio. E della Selección, ovviamente, con cui ha totalizzato 106 presenze e 11 reti tra il 1988 e il 2002, con tre Mondiali disputati, due vittorie in Copa America, un trionfo in Confederations Cup e un oro olimpico.
Beckham, prototipo del calciatore-star e icona del metrosexual, in campo aveva una dote: un piede destro da paura, con il quale era in grado di fare quello che voleva. Pennellava cross con il contagiri da qualsiasi zona del campo, calciava punizioni potenti e precise, segnava e mandava in gol i compagni. Nelle sue 115 gare con i Tre Leoni l’ha messa dentro in 17 occasioni, ma di trofei nemmeno l’ombra. Tuttavia, sarà ricordato ugualmente come uno dei capitani più carismatici della Nazionale di Sua Maestà. Anche se, a inizio carriera, qualche grattacapo se l’è creato. Per mano sua. E con la collaborazione di Simeone.
La prima volta non si scorda mai. Così si dice. Il luogo dell’incontro ad alta tensione è Saint-Etienne. È il 30 giugno 1998, Argentina e Inghilterra si sfidano agli ottavi dei mondiali francesi. Sudamericani in vantaggio con il solito Batistuta. Poi, arriva il pareggio di Shearer, a cui fa seguito il golazo di Owen, che a 18 anni entra prepotentemente nella storia del calcio. Il pareggio di Zanetti, che arriva su uno schema su punizione, riporta la gara in parità. Ai rigori vince l’Argentina 4-3, ma la gara è segnata dall’espulsione di Beckham, che lascia in inferiorità numerica i suoi compagni per quasi 80 minuti. Il suo peccato? Aver colpito da terra Simeone, dopo aver ricevuto un fallo dal Cholo, che per tutta la partita l’aveva provocato.
La faccia pentita e vergognata di Beckham, subito dopo il rosso sventolatogli dall’arbitro Kim Milton Nielsen, con Batistuta sullo sfondo che annuisce, è una scena che ha fatto storia. Com’è diventato storico il titolo del Daily Mail, che il giorno dopo ha deciso di annichilire così il centrocampista del Manchester United: “10 Heroic Lions. One Stupid Boy” (Dieci leoni eroici. E un ragazzo stupido, ndr).
Simeone e Beckham tornano ad affrontarsi dopo meno di un anno. È il 3 marzo 1999 e all’Old Trafford il Manchester United di Alex Ferguson si gioca i quarti di finale di Champions League con l’Inter di Mircea Lucescu. Al suo ingresso in campo e a ogni tocco di palla, Simeone è oggetto dei fischi dei tifosi inglesi. Beckham, però, a centrocampo gli stringe la mano. È pace fatta. Anche perché, durante la gara, non si incrociano quasi mai perché l’argentino è pedinato da Roy Keane e lo Spice Boy ha ampio spazio per fare quello che viene meglio: foraggiare di palloni invitanti Yorke e Cole, che dopo 45 minuti chiudono virtualmente la gara con un gol a testa. Nella ripresa l’arbitro annulla per un presunto fallo di Galante un’inzuccata di Simeone, che avrebbe riaperto la gara. Ma finisce così e l’Inter nel match di ritorno non riesce a ribaltare il risultato. Beckham sorride e a maggio alzerà al cielo la coppa dalle grandi orecchie. Ma l’occasione per la redenzione completa non è ancora arrivata.
È posticipata al 7 giugno 2002, quando Argentina e Inghilterra tornano a sfidarsi nel gruppo B del mondiale nippo-coreano. Per gli uomini di Sven-Goran Eriksson, reduci da un pareggio nel match d’esordio con la Svezia, una sconfitta sarebbe quasi letale. Per l’Argentina, vittoriosa contro la Nigeria, vincere significherebbe passare il turno, mentre un passo falso potrebbe complicare la situazione. Le aspettative sono alte, ma la partita è deludente. Le occasioni sono poche, le emozioni latitano. A deciderla, però, è proprio Beckham che chiude il cerchio a quattro anni di distanza con un rigore decisivo. A fine partita, il Cholo e lo Spice Boy si salutano.
Simeone, dopo la precoce eliminazione dalla competizione iridata si ritira dalla Selección. Ma c’è ancora spazio per qualche altra sfida con l’inglese. Il luogo dell’incontro, stavolta, è Madrid. Nell’estate del 2003 Beckham lascia il Manchester United per unirsi al Real, campione del mondo in carica, e rimpolpare il nucleo dei Galacticos, già provvisto di Roberto Carlos, Figo, Zidane, Raul e Ronaldo. L’argentino, invece, a 33 anni lascia la Lazio per tornare a Madrid, sponda Atletico, nel club in cui nel 1996 aveva vinto la Liga. Sono passati meno di dieci anni, ma la situazione è diversa: i Colchoneros, adesso, ritornati in massima divisione da due stagioni, lottano per una salvezza tranquilla. E la differenza col Real si vede.
Nel suo anno e mezzo al Calderon, Simeone perde tutti i derby con Beckham e i due rischiano di perdere anche le staffe. Ma per la guerra è ormai tardi. Meglio chiuderla in pace…
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Nell’albo dei pubblicisti dal 2013, ha scritto un eBook sui reporter di guerra e conseguito due lauree. A Catania si è innamorato del giornalismo sportivo; a Londra si è tolto la soddisfazione di collaborare per il Guardian e il Daily Mail. Esperto di digital marketing e amante dei social media, nel 2017 ha deciso di tornare a collaborare con VdC di cui era già stato volto e firma nel 2012-2013.