Sono più della metà le persone che non riescono a distinguere tra un gesto cortese o un vero flirting, cadendo in imbarazzanti equivoci. Ecco quali sono i segnali che possono dirci se la persona che abbiamo davanti ci stia provando con noi.
Capita molto spesso, alle donne soprattutto, che di fronte a un gesto molto cortese o a dalle gentilezze ci si chieda se la persona che abbiamo di fronte ci stia “provando” con noi. Così, dal barista che ti serve il cappuccino dicendoti “stamattina sei più luminosa del solito”, al collega che ti fa i complimenti perché “si vede che sei in forma”, fino al portiere che sottolinea la tua innata eleganza possono far sorgere situazioni imbarazzanti. Se il dubbio vi assale, considerate che questo è un problema molto comune. Il confine tra il corteggiare e il solo essere educati è qualcosa di molto sottile e quindi può essere facilmente frainteso. A confermarlo è uno studio americano dell’Università del Kansas da cui è emerso che solo il 28% dei partecipanti è riuscito a distinguere un tentativo di flirt da un gesto gentile e premuroso. Imparare a distinguere la differenza per evitare di cadere in imbarazzanti malintesi è possibile. Ne hanno parlato i giornalisti de La Repubblica con la psicoterapeuta Nicoletta Suppa per dare una distinzione e capire il modo più “corretto” di comportarci di fronte a queste situazioni, in abito sentimentale, amichevole e lavorativo. Qui di seguito ne riportiamo una parte.
Perché alcune volte è così difficile comprendere se un uomo sta flirtando con noi? «I messaggi che inviano quando corteggiano, si rifanno ad atteggiamenti di cortesia e di galanteria. E visto che quest’ultima è meno diffusa di un tempo, oggi abbiamo più difficoltà a differenziarla da un reale interesse sentimentale e sessuale. Inoltre il flirtare, per la sua stessa natura, non è mai palese, anzi gioca proprio sull’ambiguità: lo scopo è sondare il terreno per capire se si è ricambiati. Solo quando ci sono dei segnali certi ci si sente meno vulnerabili e quindi pronti a dichiararsi».
Quanto e perché è importante riconoscere il flirt e non confonderlo con la semplice cordialità? «Intanto per evitare quel senso di disagio, che ci fa sentire stupide e ingenue, proprio perché non si è compresa la vera intenzione dell’uomo con cui interagiamo. L’imbarazzo nasce soprattutto dal pensare di aver fatto una pessima figura a darsi così importanza, quando in realtà eravamo una delle tante. E poi cadere in questo equivoco e alimentarlo può inquinare o alterare il rapporto, nei casi più estremi, addirittura portare alla rottura. Pensiamo a quanto potrebbe pesare un fraintendimento di questo tipo in un ambiente lavorativo, dove gli equilibri relazionali sono di per sé instabili e messi continuamente a dura prova dall’aspetto della cooperazione-competizione. Un malinteso del genere potrebbe metterci in cattiva luce e farci essere oggetto di scherno. Altra situazione imbarazzante è se dovesse capitare con un amico, soprattutto se di lunga durata. In questo caso, si rischia di incrinare il rapporto e rompere quell’implicito patto di fiducia, che è alla base di ogni vera amicizia».
Qual è il confine tra la gentilezza e il provarci in modo non palese? «Sono due gli elementi che fanno la differenza: l’esclusività e la ricerca del contatto fisico. Per quanto riguarda il primo, è importante notare se lui è così gentile con tutte o se lo fa in maniera particolare con noi. Il secondo fattore può manifestarsi in maniera più o meno chiara: cercare direttamente il contatto fisico sfiorandoci più volte mentre ci parla, sedersi accanto a noi, tenerci la mano o stringerci in maniera particolare quando ci saluta. Il contatto può essere ricercato in vari modi, anche con lo sguardo e attraverso il sorriso».
Come flirtano di solito gli uomini? «Usano l’ironia, prendendo la donna in po’ in giro. Oppure cercano la vicinanza fisica quando si è in gruppo o creano situazioni per stare da soli con noi, ad esempio, offrendosi di accompagnarci a casa. C’è anche chi preferisce usare la strategia dei complimenti o dei piccoli regali».
E le donne? «Sfruttano soprattutto il linguaggio non verbale. Lo sguardo, in primis, e l’atteggiamento seduttivo, che spesso può toccare i due estremi: un po’ da gatta oppure mostrandosi una donna forte che entra in sfida con l’uomo».
Quali sono i segnali che possono farci capire che gli piacciamo senza dubbi? «Ricordiamoci i due elementi: l’esclusività e ricerca del contatto fisico. Oltre a questi, vanno considerati anche altri atteggiamenti. Come l’attenzione che lui presta alle nostre parole: se, ad esempio, ci rendiamo conto che si ricorda il nostro piatto preferito o il genere di film che ci piace. A volte la sola gentilezza è pura formalità, quindi potremmo trovarci di fronte un uomo garbato, ma che in realtà non ci ascolta, perché non gli interessiamo. Questo non accade quando lui sta flirtando. Inoltre vanno valutati sia la costanza del suo atteggiamento nei nostri confronti sia quei segnali indicativi che vuole concretizzare il flirt: la ricerca del contatto fisico si fa più serrata e anche lo sforzo di stare da soli si palesa con la richiesta di un appuntamento a due. Se queste cose, dopo tanto tempo, non arrivano, beh, allora è meglio dubitare».
E se abbiamo frainteso, come recuperiamo? «Inizialmente evitiamo degli atteggiamenti troppo rigidi, perché aumenterebbero il senso di disagio. Continuiamo a mantenere un comportamento cordiale, ma facciamogli capire che… abbiamo capito: non ci sono le basi per una relazione. Ristabiliamo le giuste distanze e assumiamo un comportamento più distaccato. E se lui continua con atteggiamenti ambigui, dimostriamogli che non gradiamo. Come? Mostrandoci indifferenti e, se necessario, riducendo la frequentazione, fino a scomparire del tutto se non demorde».
Quando accade sul lavoro, che si fa? «Cerchiamo di avere un comportamento formale con lui: la freddezza non aiuta, meglio essere gentili. Questo servirà a far tornare il rapporto alla normalità nel più breve tempo possibile, ritarandolo sul fronte professionale. Per riparare alla brutta figura, non bisogna cadere nell’errore di cercare di trasformare il rapporto lavorativo in un’amicizia “improvvisata”. Di solito si pensa che così si possa eliminare il disagio, in realtà il più delle volte si ottiene il risultato opposto».
Ciro Pappalardo
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