Che la vita fosse presente oltreoceano ben prima dello storico incontro, datato venerdì 12 ottobre 1492, tra la ciurma guidata dal celebre ammiraglio genovese Cristoforo Colombo e gli indios che popolavano la piccola isola di San Salvador, era cosa ampiamente nota a tutti. Che i primi insediamenti umani in Nord America siano avvenuti circa 10mila anni prima di quanto si pensasse, questo è stato scoperto soltanto recentemente, grazie al proficuo lavoro svolto dall’equipe di antropologia dell’Università di Montreal guidata dalla ricercatrice Ariane Burke. Ci sono voluti quasi due anni affinché gli studiosi riuscissero nell’intento di datare con successo i resti di alcuni animali, tra cui spicca senza dubbio la mandibola di un cavallo risalente al radiocarbonio, che presenta lesioni dovute con molta probabilità al tentativo di lacerare con brutale violenza la lingua dell’equino. I resti sono stati ritrovati all’interno dell’insediamento umano più remoto presente in terra canadese, ovvero la grotta di Bluefish, al confine con la gelida Alaska. In mezzo agli oltre 36mila reperti rinvenuti in questo sito archeologico di notevole importanza, sono stati individuati alcuni piccoli frammenti riconducibili alla tipica struttura ossea di una mano umana.
L’incredibile e quantomai inaspettata scoperta ha permesso di ricostruire sommariamente le vicende relative ai primi insediamenti umani nel continente americano. I nostri antenati sarebbero riusciti ad oltrepassare lo stretto di Bering già 24mila anni fa nonostante le condizioni meteorologiche particolarmente avverse. Successivamente, essi rimasero isolati in mezzo ai ghiacciai dell’Alaska fino alla fine dell’ultima era glaciale e di lì in avanti iniziò l’opera di colonizzazione del continente. I brillanti risultati conseguiti dagli studiosi canadesi non fanno altro che confermare quanto scoperto negli anni Ottanta dall’archeologo Jacques Cinq-Mars, il quale ebbe modo di esaminare la grotta di Bluefish tra il 1977 e il 1987.
Gabriele Mirabella
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