Abbiamo intervistato Leonardo Petruccelli, un ragazzo pugliese di ventinove anni che, dopo l’Università, ha scelto di tornare sul Gargano per valorizzare i prodotti e le tradizioni del suo territorio.
In un Paese che procede a due velocità come l’Italia, i giovani del sud sono spesso costretti a cercare lavoro nelle grandi aziende del nord, attendere nuovi concorsi pubblici, o cercare di realizzarsi all’estero. Ma il futuro è fatto soprattutto di scelte, e non tutte queste sono uguali.
Leonardo Petruccelli, ventinovenne di San Giovanni Rotondo, ha deciso di investire su sé stesso e sul territorio, quello Pugliese, dove è nato e cresciuto. Dopo la laurea in ingegneria agraria e varie esperienze all’estero, Leonardo ha deciso di avviare un’attività propria dove lavorare la terra e creare prodotti nel rispetto dell’ambiente e delle tradizioni. Ha acquistato un mulino a pietra e ha iniziato a produrre farine integrali e biologiche nella sua azienda “Zilletta di Brancia“, che prende il nome dall’omonima località ai piedi del Gargano, proponendo grani antichi e sempre meno coltivati. Voci di Città lo ha intervistato:
«Ho iniziato la mia attività nel luglio del 2018, anche se l’azienda agricola è a conduzione familiare da molti anni. Siamo agricoltori da quattro generazioni, da quando il mio bisnonno acquistò questi terreni. Io sono un agronomo, a mio padre sarebbe piaciuto vedermi lavorare in ufficio, magari con un posto fisso, ma dopo l’università e le esperienze all’estero ho deciso di tornare in azienda e puntare sul mio territorio e, quindi, iniziare a coltivare grani antichi, legumi, mais».
Su cosa hai deciso di puntare per valorizzare la tua attività?
«In agricoltura, il prodotto non lavorato ha uno scarso potere di mercato, e ho deciso, quindi, di trasformare il prodotto: ho comprato questo mulino a pietra e ho deciso di fare farine biologiche con grani antichi, integrali e semi integrali per dare valore aggiunto alla mia produzione. Dopo i 3 anni di conversione, infatti, da gennaio del 2020 i miei prodotti saranno tutti a marchio Bio e a chilometro zero. Non a caso, le materie prime come grano, legumi, mais derivano proprio dai miei terreni».
Sostenibilità e tradizione sono quindi le caratteristiche principali dei tuoi prodotti?
«Sì, soprattutto per un prodotto che sia rispettoso dell’ambiente e delle persone. Le farine che uso sono diverse da quelle utilizzate dalle grandi industrie, le quali puntano molto sul glutine e sulle proteine. Ho deciso, quindi, di dedicarmi soprattutto alla creazione di prodotti più grezzi e integrali, che contengano sali minerali e vitamine in quantità maggiori. Ho voluto investire sui grani e cereali antichi, come ad esempio il farro monococco, uno dei cereali più antichi mai trattati dall’uomo, o il mais Agostinello, che ho ottenuto grazie ad alcuni semi che mi sono stati donati da un anziano agricoltore. Quest’anno, invece, ho piantato altre varietà di grani teneri come il Frassineto, il Gentil rosso, la Risciola, il Senatore Cappelli e la Saragolla».
Perché hai scelto di acquistare un mulino a pietra?
«Con questo mulino ho voluto riprendere le antiche tradizioni. Ad esempio, nella raccolta dei fagioli pratico la trebbiatura a mano, con la forca, quindi con il vento, oppure la raccolta a mano del mais, tutte procedure praticate tradizionalmente. La Puglia, grazie soprattutto alla zona del Tavoliere, è chiamata “Il granaio d’Italia”, ma nonostante questo non abbiamo un mulino artigianale a pietra sul tavoliere e in provincia di Foggia. E in questo caso, il mio è l’unico mulino a pietra del tavoliere».
Quanto è stato difficile avviare un’attività al Sud?
«Io mi ritengo fortunato, perché la mia famiglia ha già un’azienda agricola avviata, quindi il presupposto della produzione già c’era. Il problema maggiore, però, è stato l’esborso economico per l’acquisto dei macchinari, il rimodernamento delle strutture, e anche la scelta di puntare sul biologico ha presupposto alcune difficoltà. Per quanto riguarda l’aspetto burocratico, sono ancora in attesa dei vari contributi comunitari dati all’agricoltura, che ci sono, i quali però non credo vengano utilizzati al meglio. Inoltre, non aiuta nemmeno la consapevolezza del mercato locale, dal momento che al Sud questi prodotti non sono ancora molto conosciuti».
Con la perdita di tradizioni come queste, secondo te si va a una totale scomparsa di queste pratiche?
«Molti mulini qui hanno chiuso i battenti perché non riuscivano ad avere forza innovativa, ma anche perché non ci sono le generazioni che prendono il posto dei padri. Io credo che dovremmo cercare di preservare le nostre tradizioni, poiché ci permettono di distinguerci anche all’estero. Serve salvaguardare le nostre tradizioni perché dal passato possiamo reinventarci il futuro e ripartire nel migliore dei modi».
Gianluca Merla
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