Il 18 maggio del 1988 ci lasciava Enzo Tortora, grande conduttore della televisione italiana e non solo. Da sempre si era distinto per la sua forte vena critica, senza peli sulla lingua (cosa che non piacque ai vertici Rai e causò vari allontanamenti dalla rete). Tuttavia, lo ricordiamo soprattutto per la tragica vicenda giudiziaria in cui fu coinvolto: quello che passò alla storia come il “caso Tortora”.
Nel giugno del 1983 Enzo Tortora viene arrestato dai carabinieri con l’accusa di spaccio di stupefacenti e associazione camorristica. Fin da subito l’evento causò grande scalpore, data la sua popolarità, e non solo l’opinione pubblica ma anche grandi firme del giornalismo italiano non si limitarono nello sparare a zero sul conduttore televisivo: come già detto, Enzo Tortora era un personaggio scomodo.
Di fatti, le sole prove che portarono al processo – oltre alle dichiarazioni di pregiudicati come Giovanni Pandico o Pasquale Barra, legati al camorrista Raffaele Cutolo – furono il cognome Tortora e l’annesso numero di telefono ritrovati in un’agenda nell’abitazione del malavitoso Giuseppe Puca. Successivamente, si scoprirà che il cognome era in realtà Tortona: strano no?
Vi è però un altro elemento: Enzo Tortora divenne famoso soprattutto per il programma Portobello, basato essenzialmente su delle aste. Pandico, infatti, aveva mandato dei centrini al programma che, tuttavia, data l’immensa mole di oggetti provenienti da tutta Italia, si persero. Pandico era un soggetto schizofrenico e paranoico e maturò così, come accertato in un secondo momento, un forte risentimento nei confronti di Tortora.
«L’arresto di Tortora e contemporaneamente di altri presunti 855 camorristi prova che non è vero che in questo paese non cambia nulla, non è vero che le leggi o sono sbagliate o se sono giuste non vengono applicate, non è vero che esistono gli intoccabili».
Così Guglielmo Zucconi, allora direttore de Il Giorno, si esprimeva sul caso Tortora e questa dichiarazione è sintomatica di come si stesse attuando una vera e propria carneficina da parte della pubblicistica nazionale. L’indagine in sé non fu complessa ma eccessivamente lunga, oltre alle altre centinaia di arresti, e questo testimonia come vi fosse l’intenzione palese di distruggere l’immagine di Tortora. In questa vicenda però non fu lasciato solo: molti personaggi di punta lo sostennero, come Marco Pannella, Piero Angela e Leonardo Sciascia.
In breve tempo, dunque, la “grande” inchiesta portò all’arresto di Enzo Tortora. Dopo mezzo anno di carcere e processo, nel 1984 passò ai domiciliari, per poi essere costretto di nuovo a dieci anni di carcerazione a partire dal 1985. Nel 1986 la Corte d’appello di Napoli smontò tutte le accuse che pesavano su Enzo Tortora, che venne finalmente assolto nel 1987. Tornò quindi a presentare Portobello ed ecco il suo discorso di apertura della nuova stagione del programma:
«Dunque, dove eravamo rimasti? Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo “grazie” a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L’ho detto, e un’altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so, anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro. Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta.»
È chiaro, però, che la vicenda giudiziaria non si concluse qui: seguirono molte denunce per calunnia e diffamazione, in questo inferno mediatico che aveva di fatto distrutto per anni il presentatore della Rai. Queste le parole della figlia Silvia ad anni dall’accaduto, in un’intervista per il Corriere della Sera:
«Era chiaro fin dall’inizio che l’inchiesta fosse piena di incongruenze e nessuno ha voluto vedere. Nessuno si è mai posto domande. E allora chiedo adesso: come mai soltanto Vittorio Feltri si prese la briga di leggere gli atti e scrivere che forse la realtà non era come la stavano raccontando?».
Al di là del caso Tortora nel particolare, questo accaduto dimostra ancora una volta sia le enormi contraddizioni e storpiature – spesso volute – del sistema giudiziario italiano, sia come l’interesse personale e la corruzione vadano oltre ogni barriera in questo paese.
Non a caso, Enzo Tortora volle deporre insieme alle sue ceneri una copia di “Storia della Colonna Infame” di Alessandro Manzoni, opera in appendice al suo famoso romanzo, in cui viene proprio ricostruita la vicenda giudiziaria che vide vittime innocenti accusate di un reato mai commesso.
Riccardo Bajardi
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