Francesco Fontana è un artista calabrese laureato in architettura all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. I suoi quadri, disegni e acquarelli fondono al loro interno un’interessante combinazione di corpi e elementi architettonici esterni, mostrando una frammentazione del corpo umano che secondo l’artista riflette l’era in cui viviamo, carica di contraddizioni e in cui tutti siamo come degli “ibridi”. Il 20 maggio, in occasione della Notte Europea dei Musei, verrà inaugurata la sua mostra del nome Hybrid Equilibrium presso la Gam ‒ Galleria d’arte moderna di Paternò, comune in provincia di Catania. Noi di Voci di Città abbiamo avuto il piacere di incontrarlo e porgli qualche domanda.
In che modo la sua formazione come architetto ha influito e influenzato il suo modo di esprimersi attraverso la pittura?
«Sono stato influenzato enormemente dai miei studi architettonici, soprattutto dalla geometria descrittiva, dalla prospettiva analitica e dai grandi maestri come Le Corbusier e Wright, i quali hanno saputo estrapolare l’arte dalla tela dei grandi maestri facendola diventare “costruzione”, così come quando Piero della Francesca ha portato su tela la prospettiva architettonica, facendo subire all’arte un’evoluzione incredibile. L’architettura è comunque arte; a mio avviso esiste solo una differenza: la pittura ti permette di realizzare cose che l’architettura non può ancora creare».
Il 20 maggio in occasione della Notte Europea dei Musei di Paternò, all’interno della Gam – Galleria d’arte Moderna, verrà inaugurata la sua mostra Hybrid Equilibrium. Può spiegarci il suo significato e perché ha scelto di darle questo nome?
«Ho scelto questo nome perché evidenzia, secondo me, la situazione attuale di ognuno di noi; “ibrido” è qualsiasi persona non cosciente in modo completo delle sue capacità. Potrei provare a spiegarmi meglio citando Franco Battiato in Personalità empirica “Quando non coincide più l’immagine che hai di te con quello che realmente sei”. Mi torna in mente anche un noto psichiatra e scrittore contemporaneo, il dottor Massimo Recalcati, il quale focalizza i suoi studi su questi tre punti: chi siamo oltrepassa quello che crediamo di essere e come gli antichi messaggeri ai quali era scritto un messaggio sulla nuca solo per il destinatario, noi portiamo un messaggio che non riusciamo a leggere, c’è in noi uno straniero interiore che preme alle frontiere. Ibrido evidenzia l’unicità di ognuno di noi, Equilibrium è la ricerca di una stabilità».
Nei suoi quadri, disegni e acquerelli, la figura umana è rappresentata spesso come “contaminata” da elementi esterni come bulloni, viti e addirittura elementi architettonici. Si potrebbe quasi vedere una fusione tra uomo e architettura. Qual è il concetto dietro tale rappresentazione?
«Mi riallaccio al discorso di persona non definita nell’ibrido. I bulloni, le viti, le presse, i tiranti, le saldature, le cerniere, le impalcature, i tagli e i pezzi mancanti dei personaggi dei miei quadri esprimono essenzialmente due cose: la prima è che anche senza una parte di essi, la persona esiste lo stesso (vedi le protesi degli arti umani o la sostituzione di organi interni con altri creati in laboratorio); la seconda è la frammentazione sempre più evidente nell’uomo. D’altronde, ci troviamo nel periodo storico del post human, in cui l’uomo non c’è quasi più, o meglio, c’è ma dietro le macchine e la tecnologia. Paradigmi e contraddizioni non sono più eccessi. In breve,“io non ti conoscerò mai completamente, perché devo vederti fisicamente come appari?”».
C’è un artista o una corrente artistica in particolare che sente più vicina al suo modo di esprimersi attraverso l’arte?
«Sento molto familiare Francis Bacon; invidio il suo modo sanguinolento di vivere l’arte. Ogni sua pennellata, ogni suo solco sulla tela rappresentava qualcosa che accadeva nella sua vita. Non ho mai visto uno come Bacon, ne sono totalmente affascinato. La corrente pittorica per me più significativa è l’espressionismo e amo artisti come Feininger, Ernst, Chagall, ma anche Severini e De Chirico».
Quale pensa sia il ruolo dell’arte nella società odierna e qual è l’impatto morale che le piacerebbe avessero le sue opere su chi le osserva?
«Qualcuno disse: “l’arte salverà il mondo”. Lo spero! L’arte è poesia; se non esprimesse poesia, non avrebbe senso chiamarla arte. Mi piacerebbe ci fosse più poesia nella società di oggi. Spero che le mie opere facciano riflettere, anche su argomenti controversi, ma che risulta indispensabile affrontare ad esempio, cos’è che spinge un padre di famiglia all’improvviso a rivoltarsi contro la moglie e i figli? Cosa scatta nella testa di un uomo che ama alla follia una donna e che dopo un rifiuto le getta addosso dell’acido? Cosa spinge l’uomo a ribellarsi a se stesso e perché esistiamo da milioni di anni, ma non siamo mai felici?».
Quali sono i suoi progetti futuri?
«Spero di poter avere sempre più il tempo per esprimermi. Parlo del tempo e non del luogo o dei mezzi, perché credo che oggi il tempo ci stia dando scacco matto. Un progetto che vorrei portare avanti è quello di dimostrare l’intercambiabilità, ovvero dipingere elementi d’arredo e progettare e realizzare dipinti come si trattasse di oggetti funzionali. E’ una sfida, ma vedremo!»
Lorena Peci
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