Il fenomeno Threads è sbarcato in Italia, e nel resto d’Europa, ormai dal 14 dicembre. Il nuovo social targato Meta, realizzato da Mark Zuckerberg, ha sin da subito riscontrato un grande successo e milioni di download. Threads significa in inglese “discussione” e, già dal nome, possiamo comprendere il fine e le caratteristiche della nuova app. La stessa, ha portato con sé un’importante novità in quanto dichiara di essere parte del cosiddetto “Fediverso“.
Threads è una piattaforma di microblogging che nasce in risposta all’acquisizione di Twitter da parte di Elon Musk, che ne ha poi cambiato il nome in “X“. In seguito all’acquisto, la famosa app social, ha subito delle modifiche che hanno lasciato scontenti molti utenti. Per questo motivo l’idea di Zuckerberg è stata sin da subito quella di proporre una sorta di nuovo Twitter “migliorato”. Molte, sono le caratteristiche che manifestano la ripresa ma, anche, le migliorie rispetto al “vecchio Twitter“.
Sul nuovo social è possibile scrivere testi fino a 500 caratteri, caricare foto e video, link e, addirittura, registrare delle brevi registrazioni vocali fino a un massimo di 40 secondi. Un’altra caratteristica che dimostra la maturità dell’app, è la funzione degli hashtag, i quali sono molto meno invasivi, anche da un punto di vista grafico. Tali hashtag, infatti, sono presentati come parte integrante del testo stesso e non disturbano la lettura.
Sin dal primo giorno in cui l’app è stata disponibile, milioni di utenti non hanno tardato a volersi fare partecipi dell’avvento di questa nuova piattaforma, che sin da subito ha dimostrato di saper gareggiare con tutte la altre app in circolazione. Lo scopo del team Meta è sempre stato quello di mettere in contatto tutto il mondo e possiamo affermare che, almeno in parte, Zuckerberg sia riuscito a coinvolgere una vasta fetta di utenti attivi sul web, grazie all’ecosistema di app che ha messo a disposizione del mondo intero.
Molti si sono già chiesti se questo successo, così repentino, durerà nel tempo, o se gli utenti abbandoneranno presto l’app. Alcuni hanno intravisto sin da subito un grande potenziale che potrebbe affiancarla a WhatsApp, Instagram e Facebook. Threads si presenta come una novità, un nuovo spazio di comunicazione. Per altri, invece, sembra rievocare un ritorno alle origini del blogging di più o meno 10 anni fa. Moltissimi hanno sin da subito notato le somiglianza con “X”, alcuni definendola “un primo Facebook”, ad altri ancora ricorda vagamente “mySpace”.
Una mossa sicuramente vincente è stata quella di collegare la nuova app al già popolato Instagram. Gli utenti più vivaci di quest’app hanno potuto inscriversi alla nuova piattaforma social portando con se tutti i propri follower. Questo espediente ha permesso ai nuovi iscritti di avere già nella propria home contenuti a loro graditi, senza neanche perdere tempo a preoccuparsi dei follower. Il pubblico medio presente sulla piattaforma non sembrerebbe essere quello molto giovane di TikTok. Notiamo, infatti, la presenza di molti over 20: ovvero, di coloro che hanno visto la nascita della rivoluzione digitale con Twitter e Facebook.
Il successo del nuovo social deriva dalla libertà di azione di cui gli utenti sono dotati, infatti, nessuno regola lo spazio di discussione e tutti possono dire ciò che vogliono. Possiamo dunque parlare di una vera e propria autogestione. Su Threads non è presente nessuno spazio pubblicitario e questo dà vita ad un ambiente dove non ci si aspetta di poter ottenere dei profitti, come per esempio è accaduto con Instagram. Con tutte queste premesse, l’app si presenta come uno spazio dove ci si può esprimere liberamente, senza tutte le preoccupazioni del caso.
Certo, è ancora da constatare se le modalità suggerite porteranno sempre ad uno spazio di condivisione proficuo, o ad uno spazio dove regna l’anarchia del web. Questo dubbio nasce dal fatto che si sono già riscontrati casi in cui l’insulto gratuito e la battuta più sagace (e spesso offensiva), hanno ottenuto moltissimi like. Quest’andamento potrebbe portare al declino del cosiddetto “politically correct” che da anni si è affermato sul web. Molti hanno dato libero sfogo ai loro pensieri, non sempre per fini costruttivi. Ci sono stati addirittura casi in cui gli utenti hanno visto comparire sulla propria home contenuti “a luci rosse”, non sempre graditi e oggetto, spesso, di ironia.
In questo magma disomogeneo di utenti autogestiti, non si può prevedere la piega che prenderà il social. Sicuramente tutti hanno una gran voglia di discutere su qualsiasi argomento. Per la prima volta, conta più il contenuto che la forma. In virtù di questo, sembra che in questo ambiente così “nuovo” non siano ben accetti gli influencer. Coloro che si sono sempre fatti i paladini per eccellenza della vacuità. Threads si presenta come una piattaforma dove per ottenere successo non serve a nulla essere belli. Bisogna semplicemente avere un pensiero.
Se dovessimo trovare una pecca nella nuova app, questa sarebbe sicuramente l’algoritmo. I nuovi utenti hanno sin da subito cercato di regolare il proprio algoritmo facendo delle vere e proprie “richieste” al social per imbattersi in utenti con interessi affini. Se questa sorta di reazione a catena di “caro algoritmo” sembra aver funzionato durante le prime ore, subito dopo ha smesso di accontentare i propri utenti, richiedendo loro uno piccolo sforzo di ricerca.
Purtroppo con Threads è ritornato anche il tanto odiato hashtag “followforfollow” che, usato da molti utenti per arricchire la propria schiera di follower, si è diffuso come un vero e proprio virus nei primi giorni. Per fortuna sembra essersi esaurito, anche se c’è ancora chi si ostina ad utilizzarlo perché appena iscritto all’app. Quest’ultimo particolare ci può far capire come il fenomeno di Threads non è stato in realtà un fenomeno omogeneo. Non tutti hanno partecipato con la stessa prontezza all’avvento dell’app e l’hanno scaricata solo nei giorni successivi, dopo aver compreso il successo avuto.
Con l’avvento di Threads molti utenti hanno scoperto l’esistenza del “Fediverso“. In realtà è un concetto presente da più di un decennio sul web, ma che sicuramente non ha mai incontrato l’interesse della massa. Threads ha introdotto questo “nuovo” termine comunicando a chi voleva iscriversi che si trattava di un social network che faceva parte del “Fediverso“. Questo termine è la traduzione in italiano di Fediverse, parola inglese composta dalla crasi tra federated e universe.
Per comprendere però il significato reale di questa nuova dimensione, è necessario avere almeno un’idea generale su come funziona il mondo del web. Tutti i contenuti e i dati presenti sul web sono raccolti in server, computer dislocati in varie parti del mondo e di varie dimensioni. Ogni computer, smartphone deve collegato a questi server per poter navigare nel web. Bisogna poi considerare il concetto di protocollo di comunicazione, un’insieme di regole che stabiliscono i modi con cui i vari server possono comunicare tra loro.
Il Fediverso si realizza in un insieme di server (anche istanze) che rispettano tutti lo stesso protocollo, ActivityPub. Quest’ultimo è stato reso noto nel 2018 e sviluppato dal W3C (World Wide Web Consortium), un’organizzazione non governativa a livello internazionale che ha lo scopo di migliorare e favorire lo scambio sul web. Il Fediverso è uno spazio in cui mettere in contatto gli utenti di vari social differenti, in modo tale che non vi siano distinzioni o barriere alla comunicazione. In pratica, chi si iscrive ad un social che segue il protocollo di ActivityPub può interagire con gli utenti di un altro spazio digitale che utilizza il medesimo protocollo.
La differenza più consistente, rispetto al Metaverso, consiste nel fatto che i server federati possono offrire un’esperienza totalmente diversa. Il Fediverso permette agli utenti di avere un controllo maggiore sui dati che condividono. In sostanza, è possibile seguire i post pubblicati da altre persone su altri server senza doversi iscrivere a ogni singolo social. Alla base di questa idea sembra esserci un pensiero fondamentalmente anticapitalista, che entra in opposizione con i fini commerciali che sono caratteristici di Facebook, Instagram e TikTok. Vi è la volontà di creare uno spazio di dialogo comune a tutti e allargato che non abbiamo nulla a che vedere con la pubblicità e il diventare “ricco”. Proprio nell’autogestione, infine, possiamo riscontare un carattere più democratico, dove tutti possono esprimere i propri pensieri e avere una voce di eguale valore rispetto agli altri utenti.
Fonte Foto in evidenza: Point
Alessia La Porta
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