Come di consueto, Spotify saluta l’anno passato con un “Wrapped”, una playlist che ci ricorda tutte le nostre canzoni preferite. Quest’anno, però, si è chiuso anche in modo meno poetico con l’ennesimo maxi-licenziamento, stavolta pari al 17% dei suoi dipendenti. Perché licenziare proprio ora, poco dopo aver vissuto il secondo trimestre migliore di tutti i tempi?
Il 2023 sarà un anno da dimenticare per Spotify, o meglio, per i suoi dipendenti. L’anno si è aperto con un giro di licenziamenti e si chiuderà in modo analogo. Se a gennaio a lasciare il proprio posto di lavoro presso il colosso svedese è stato il 6% del personale, adesso la quota sale al 17% (pari a circa 1600 dipendenti).
Ad annunciarlo il CEO Daniel Ek che in una nota sui cambi organizzativi da effettuare entro fine 2023 ha scritto: “La crescita economica sta rallentando in maniera drastica e il capitale è diventato troppo dispendioso: Spotify non fa eccezione a questa triste realtà. Questo mi porta a una decisione che segnerà una nuova era per la nostra azienda: per allinearci ai nostri obiettivi futuri e assicurarci di essere pronti alle sfide che ci aspettano, ho fatto la difficile scelta di ridurre il nostro personale del 17%. So che questa decisione avrà un impatto su molti dipendenti validi, che hanno dato un grande contributo alla nostra azienda, ma sono convinto di star facendo la cosa giusta”.
Il motivo? Troppi costi. O meglio, troppi investimenti in periodo di pandemia, nello specifico tra il 2020 e il 2021. Parliamo di spese pubblicitarie, ma anche di investimenti in risorse umane e nel miglioramento dei contenuti. Tra i costi più grandi spicca l’acquisizione di società di podcast che, se da un lato ha arricchito il repertorio della piattaforma segnandone la supremazia rispetto alle colleghe, dall’altro ha prosciugato le risorse dell’azienda.
Dunque, dopo aver forzato troppo la mano con gli investimenti, Ek ha deciso di fare un passo indietro, ammettendo le proprie colpe e rimboccandosi le maniche per ridurre i costi operativi, iniziando proprio dai tagli nel personale. Forse un po’ drastica la decisione di eliminare immediatamente il 17% della forza lavoro piuttosto che procedere con piccoli licenziamenti lungo il periodo 2024-2025. Ma, stando a quanto affermato dal CEO, andava fatto: “È un giorno difficile ma importante per la nostra azienda. Il 2023 ha segnato un nuovo capitolo per noi, e lo stesso varrà per il 2024, anno in cui getteremo le basi per rendere Spotify ancora più forte”.
Dalle parole di Ek sembrerebbe che, nonostante la dura decisione, la sua azienda sia tutt’altro che in crisi. In effetti anche i dati dicono lo stesso: il colosso di Ek viene dal secondo trimestre migliore di sempre.
Nel periodo compreso tra aprile e giugno, Spotify ha accolto 36 milioni di nuovi utenti mensili, raggiungendo il record di 551 milioni di utenti attivi, con un incremento pari al 27%. A crescere è stato anche il numero di abbonati Premium, con un incremento del 17% che l’ha portato a quota a 188 milioni (ben 3 milioni in più rispetto alle previsioni). I ricavi totali invece sono cresciuti dell’11% su base annua a 3,2 miliardi di euro, in linea con le previsioni.
Tutti numeri positivi, che vengono però contraddetti da un dato altrettanto importante: una perdita operativa rettificata di 112 milioni di euro, dovuta proprio agli esagerati investimenti effettuati cavalcando l’onda della pandemia.
Magari è ancora presto per parlare di crisi, ma si può certamente parlare di calo (non solo per Spotify, ma per tutte le piattaforme di streaming).
Come riportato da Agcom, l’intero settore sta vivendo una fase di “declino” dovuta in parte al boom della pandemia – a cui consegue un fisiologico calo – e in parte all’inflazione che ha avuto un forte impatto sulle capacità di spesa delle famiglie. La conseguenza è un’importante diminuzione degli abbonamenti. Basti pensare che a marzo 2023 gli utenti che si sono connessi a una o più piattaforme streaming sono stati 870mila in meno rispetto a marzo dell’anno precedente.
Questo ha spinto anche le più grandi piattaforme a fare scelte difficili per far fronte al calo degli utenti. Uno dei casi più eclatanti è Netflix, la cui strategia difensiva ha fatto discutere parecchio nel corso degli ultimi anni. Se da un lato la piattaforma ha introdotto un piano di abbonamento più economico con pubblicità per venire incontro alle esigenze degli utenti, dall’altro ha deciso di dire addio alla condivisione delle password, e quindi agli abbonamenti condivisi (scelta poco gradita dal pubblico).
Insomma, neanche i più grandi colossi sono immuni alla crisi, e a farne le spese sono ancora una volta i dipendenti: ne varrà la pena?
Alice Maria Reale
Fonte immagine: Pixabay
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Nata a Catania nel lontano 2002, la piccola Alice si è sempre distinta per la sua risolutezza e determinazione.
Dopo aver deciso di voler diventare un’archeologa, poi una veterinaria e poi un’insegnante, si iscrive al Liceo Linguistico Lombardo Radice e scopre le sue due grandi passioni: la scrittura e le lingue straniere, che decide di coniugare iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione.