Il tema del parricidio è stato largamente trattato nel corso dei secoli, dalla poesia al cinema passando per la letteratura. È proprio attorno a questo tema che si sviluppano i nove episodi che compongono “Monsters – La storia di Lyle ed Erik Menéndez”. La serie Netflix è tipicamente true crime, anche se gli episodi sono romanzati e a tratti intrisi di elementi non aderenti alla realtà. Il racconto è quello dei fratelli Menéndez, che negli anni Novanta uccisero a sangue freddo i loro genitori, dopo anni di dinamiche familiari tossiche, abusi e violenze.
È approdata su Netflix la seconda stagione della serie televisiva antologica Monster. La prima stagione, composta da dieci episodi, raccontava la storia di Jeffrey Dahmer. Ragazzo dalla personalità deviata e dall’infanzia complicata, il giovane Jeff si è macchiato di ben diciassette omicidi. I suoi metodi erano particolarmente cruenti e includevano violenza sessuale, necrofilia e cannibalismo. La seconda stagione, intitolata Monsters – La storia di Lyle ed Erik Menéndez, è composta da nove episodi che raccontano la storia dei due fratelli di Beverly Hills condannati all’ergastolo ventotto anni fa.
Per la produzione della serie televisiva, era necessario un cast che fosse all’altezza di una storia così cruda e delicata. A tal proposito, sono stati scelti: Nicholas Chavez nei panni di Lyle Menéndez, personaggio molto controverso. Condanna il padre per ciò che ha fatto a lui e a Erik, ma allo stesso tempo non vuole che i segreti di famiglia vengano a galla. Cooper Cock nelle vesti di Erik Menéndez, il secondogenito. Ha subito abusi più a lungo e il male infertogli dal padre lo ha traumatizzato per sempre. Inizialmente sembra l’anello debole nella coppia di fratelli, ma sarà lui a raccontare per primo tutta la verità sulla sua famiglia e sugli abusi subiti. È proprio a causa della sua confessione allo psicoterapeuta che inizia una grande indagine che porterà all’arresto dei due parricidi.
A interpretare il padre, José Menéndez, e la madre Kitty, sono Javier Bardem e Chloë Sevigny. Il padre, dispotico e violento, è un personaggio sul quale gli spettatori potrebbero sviluppare un doppio parere. È vittima di un omicidio, o meglio, di un parricidio. Ma resta un genitore ignobile che ha traumatizzato i suoi figli per anni. La madre sembra quasi un personaggio immobile, accondiscendente verso il marito e vittima del suo dispotismo. Sgrida i figli per le ragioni più banali e per sopportare le sue sofferenze prende degli psicofarmaci.
Le scene non sono particolarmente crude o violente. Ma i dialoghi sono profondi e il rapporto tra Lyle ed Erik è a tratti toccante. Bastano un paio di episodi per comprendere quanto i due avessero vissuto un’esistenza infernale, che li ha portati a compiere una decisione estrema.
I veri Menéndez non hanno nascosto il loro malcontento di fronte alla serie tv che ha riacceso i riflettori sulla vicenda. Secondo loro, alcuni dei fatti riportati sarebbero lontani dalla realtà e il racconto sarebbe stato veicolato in modo da mettere in luce alcuni punti per oscurarne altri.
In particolare, la moglie di Erik Menéndez ha pubblicato su X un comunicato in cui accusa la serie di aver dato una “rappresentazione disonesta” della vicenda. Erik si scaglia contro Ryan Murphy, co-creatore della serie insieme a Ian Brennan. Il produttore avrebbe dato “forma alla sua orribile narrativa attraverso rappresentazioni ripugnanti e sconvolgenti”, diffondendo “calunnie deprimenti”.
I fratelli Menéndez non sono rimasti in silenzio quando la serie Netflix in questione ha manipolato le loro storie e nascosto alcuni punti salienti delle stesse. Quindi, Lyle ed Erik, che hanno ormai cinquantasei e cinquantaquattro anni, hanno raccontato la loro versione della storia nel documentario The Menéndez Brothers, che porta la firma dell’argentino Alejandro Hartmann. Il documentario, girato con le voci reali dei due fratelli, porta sul piccolo schermo del materiale inedito e delle interviste mai pubblicate. Il produttore si è avvalso anche della partecipazione di persone coinvolte nel processo e nelle indagini: avvocati, giornalisti, ecc.
Era il 20 agosto del 1989 quando José e Kitty Menéndez vennero assassinati dai loro figli Lyle ed Erik, di ventuno e diciotto anni, nella loro abitazione a Beverly Hills, in California. I due vennero uccisi a colpi di fucile. I colpi che uccisero José furono sei, mentre quelli che uccisero Kitty furono dieci. I fratelli Menéndez si giustificarono: il loro gesto sarebbe stato un modo per difendersi legittimamente dagli abusi e dalle violenze del padre. La famiglia Menéndez incarnava il sogno americano e la sua era una perfetta finzione. Perfetta fino a quando i due giovani non sono più riusciti a vivere sotto lo stesso tetto del loro stupratore e hanno deciso di liberarsene. Dietro la maschera si nascondeva una realtà cruenta, della quale tutti gli altri familiari sono venuti violentemente a conoscenza.
Oltre dieci dei familiari dei fratelli Menéndez chiedono il loro rilascio, a distanza di trentacinque anni da quel tragico 20 agosto. La cugina Karen ha affermato che i due fratelli “vivevano nella paura costante, gli abusi li hanno intrappolati. La giustizia non li ha difesi. Credo che abbiamo pagato per i loro crimini, e noi come famiglia abbiamo sofferto abbastanza”. La zia materna Joan, novantenne, ha denunciato gli orribili abusi subiti dai nipoti. Un’altra cugina, Anamaria, ha sottolineato che “con la comprensione che abbiamo ora degli abusi e della sindrome post traumatica, non c’è dubbio sul fatto che la sentenza oggi sarebbe stata molto diversa”.
Lo scorso anno, i legali dei fratelli hanno presentato due nuove prove contro il padre. La prima prova è una lettera che uno dei due autori del parricidio aveva inviato a un cugino. La lettera recitava: “sto cercando di evitare papà ogni notte, rimango sveglio pensando che possa entrare”. La seconda prova è l’accusa di stupro contro José Menéndez da parte di Roy Rossello, ex componente di una boy band.
Questa è solo una delle tante stragi che hanno come protagonista una famiglia all’apparenza felice. Un evento recente che ci ricorda la vicenda dei Fratelli Menéndez è forse quella della strage di Paderno. I protagonisti di questa strage sono una famiglia all’apparenza normale e un diciassettenne che si sentiva “un estraneo” nella sua stessa casa – come lui stesso ha affermato. Nella notte tra il 31 agosto e l’1 settembre 2024, il giovane ha impugnato un coltello e furiosamente ucciso la sua intera famiglia, compreso il fratello di dodici anni. Dopo aver commesso il fatto, è caduto in una serie di contraddizioni e non è riuscito a spiegare la ragione che si cela dietro il suo gesto. Un disagio nascosto troppo a lungo che è esploso nel più crudele degli omicidi: la strage familiare.
Fonte foto in evidenza: adnkronos.com
Valeria Mangiarratti
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