DAHMER, la serie firmata Ryan Murphy, è uscita da meno di due settimane ed è già in vetta alle classifiche. Secondo le stime di Netflix, ben 56 milioni di nuclei domestici l’hanno già vista. Si tratta del risultato migliore della storia della piattaforma, secondo solo a Stranger Things. Ma i numeri sbalorditivi sono stati accompagnati da altrettanto sbalorditive polemiche: vediamo quali.
Non è di certo l’unica produzione true crime su Netflix, e nemmeno l’unica a trattare la storia di Jeffrey Dahmer, il cannibale di Milwaukee. Eppure la nuova serie di Ryan Murphy ha davvero fatto il botto: perché?
DAHMER ricostruisce il ritratto di uno dei serial killer più terribili della storia, con tutte le sue perversioni e la logica malata che sta dietro i suoi 15 omicidi. Ma mostra anche l’essere umano che si cela dietro il mostro.
La narrazione inizia al momento del suo arresto, e torna poi indietro attraverso numerosi flashback che ripercorrono la sua vita intera, mostrandone i lati più bui. Da quando era in grembo alla madre che abusava di psicofarmaci fino alla morte in carcere per mano di un detenuto. Una vita segnata da traumi e una profondissima solitudine, che ha contribuito a determinare i suoi disturbi e la sua paura dell’abbandono, che caratterizzerà i suoi 15 omicidi. Il tutto narrato in maniera talmente accurata e coinvolgente che molti spettatori hanno dichiarato di aver persino provato un briciolo di compassione nei confronti del mostro.
A rendere speciale la serie è sicuramente per l’interpretazione magistrale di Evan Peters, che rende la visione avvincente e disturbante allo stesso tempo, anche senza troppe scene splatter. Dietro c’è un grande lavoro: durante un’intervista l’attore ha confessato che è stato il ruolo più pesante della sua carriera. Affermazione non da poco se consideriamo che Evan Peters di ruoli difficili ne ha affrontati molti, a partire dall’interpretazione di Kai Anderson in American Horror Story Cult, sempre guidato da Ryan Murphy.
Jeffrey è omosessuale, così come tutte le sue vittime, e il contesto sociale di riferimento è l’America degli anni ‘80 dove la comunità gay era tutt’altro che ben accetta. Tutto questo ha portato Netflix a inserire tra le parole chiave della serie il tag LGBTQ, scatenando però l’ira della comunità. In effetti, scorrendo nella sezione dove figurano serie come Sex Education e Skam Italia, che descrivono a pieno la comunità LGBTQ, una serie su un folle serial killer risulta decisamente fuori contesto. Le lamentele sono state accolte, e Netflix ha immediatamente rimosso il tag.
Guardando DAHMER è impossibile non pensare alle famiglie delle vittime, e chiedersi come si sentirebbero rivedendo quelle crude immagini sui loro schermi. Il loro parere è arrivato alle nostre orecchie grazie ai social. Il cugino di Errol Lindsey’s, vittima del killer, ha fatto sentire la sua voce aprendo un thread su Twitter: «È crudele, è come rivivere quell’incubo» riferendosi alla scena – particolarmente fedele – delle urla della cugina Issbel contro Jeffrey in tribunale.
I’m not telling anyone what to watch, I know true crime media is huge rn, but if you’re actually curious about the victims, my family (the Isbell’s) are pissed about this show. It’s retraumatizing over and over again, and for what? How many movies/shows/documentaries do we need? https://t.co/CRQjXWAvjx
— eric perry. (@ericthulhu) September 22, 2022
La stessa Issbel ha sottolineato come Netflix non abbia assolutamente provato a mettersi in contatto con la sua famiglia per sapere come si sentivano riguardo a questo progetto, denunciando la loro mancata sensibilità e accusandoli di pensare solo al guadagno.
Le lamentele sono arrivate anche dalla stessa troupe che ha lavorato al progetto. La coordinatrice di produzione Kim Alsup ha parlato di un clima razzista e irrispettoso sul set: «Mi trattavano in modo orribile, mi confondevano con una collega solo perché avevamo entrambe le treccine».
Tutto ciò è assurdo se pensiamo che il fulcro della serie è proprio il razzismo e il trattamento della comunità nera da parte della polizia. La narrazione di Ryan Murphy, infatti, mostra con crudezza che se le loro voci fossero state ascoltate e prese sul serio molti di quei ragazzi sarebbero ancora vivi, e Dahmer avrebbe pagato per le sue azioni ben prima dei 31 anni e dei 15 omicidi.
Tralasciando le controversie riguardanti la serie in sé, fanno riflettere le conseguenze sugli spettatori. Sin dall’uscita della serie, i social si sono riempiti di contenuti raccapriccianti: un’infinità di meme, utenti che romanticizzano il serial killer sottolineando la sua bellezza e addirittura link che rimandano alle polaroid originali scattate da Dahmer, ritraenti le sue vittime smembrate e “artisticamente” messe in posa. Insomma, la serie ha avuto su molti un effetto molto diverso da quello desiderato. Il dolore straziante subito dalle vittime e dalle loro famiglie sembrerebbe essere stato completamente svuotato del suo peso e fruito come puro intrattenimento, addirittura scherzandoci su.
Alice Maria Reale
Foto: Tvzap
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Nata a Catania nel lontano 2002, la piccola Alice si è sempre distinta per la sua risolutezza e determinazione.
Dopo aver deciso di voler diventare un’archeologa, poi una veterinaria e poi un’insegnante, si iscrive al Liceo Linguistico Lombardo Radice e scopre le sue due grandi passioni: la scrittura e le lingue straniere, che decide di coniugare iscrivendosi alla facoltà di Scienze e Lingue per la Comunicazione.