L’Academy si è finalmente accorta di un artista di talento e ne sono la conferma le nove Nomination che gli sono state attribuite, tra cui quella di miglior film, miglior regia e miglior attore protagonista. Steve McQueen, infatti, è senza dubbio uno degli artisti più eclettici del nostro tempo. Arrivato al giro di boa non ha voluto abbandonare la tematica della schiavitù, al contrario: ha deciso di affrontare la propria terza fatica nella maniera più diretta possibile, senza cercare in maniera forzata di commuovere il pubblico ad ogni scena e ad ogni costo. Si tratta dell’autobiografia di Solomon Northup, interpretato dal candidato all’Oscar Chiwetel Ejiofor. Partendo dal libro che nel 1853 rivelò all’America i drammatici retroscena dello schiavismo, il regista racconta la travagliata storia di un marito e padre di due bambini, afroamericano e violinista affermato, nato libero nello Stato di New York e rapito a Washington nel 1841 per essere venduto come schiavo in Louisiana.
12 anni schiavo è collocato in un arco temporale di dodici anni, durante i quali Platt (questo fu il nome assegnato a Northup dopo la perdita della propria identità) è finito alla mercé di diversi aguzzini interpretati da un cast stellare, tra cui spiccano Paul Giamatti, Benedict Cumberbatch e Michael Fassbender, l’attore feticcio del regista, che dopo Hunger e Shame è tornato ad occuparsi di un ruolo estremo, vestendo i panni del più sadico e detestabile tra tutti i personaggi. Indimenticabile la lunga sequenza in primo piano al calar della notte, in cui Chiwetel Ejiofor punta lo sguardo all’orizzonte per poi fissare l’obiettivo della telecamera per qualche secondo. Pochi attimi in cui si entra fisicamente nello schermo accanto al protagonista, vergognandosi dei propri vestiti puliti, degli atti ignobili perpetrati contro uomini e donne di colore durati centinaia di anni e delle vittime innocenti scomparse nel silenzio più assordante dell’omertà. Una sequenza paragonabile alla deposizione di Gesù dalla croce in The Passion di Mel Gibson, quando Maria, con suo figlio morente in braccio, guarda lo spettatore mentre la telecamera si allontana lentamente. Anche i panorami o i primi piano sulle mani dei protagonisti sono emotivamente coinvolgenti, all’interno di questa storia ambientata prima della guerra civile e in luoghi nebulosi, quasi in zone franche, dove la legalità all’epoca non esisteva. Tuttavia, sono i paesaggi crepuscolari e aridi delle piantagioni, lo sguardo del regista e il suo realismo nella rappresentazione della violenza a rendere chiaro l’intento del film, ossia quello di suscitare attenzione ed empatia su un tema che ha condizionato in modo drammatico la storia americana: la schiavitù.
Non a caso, da più di un anno il cinema statunitense prova a fare veramente i conti con la mostruosità di tale fenomeno, peccato originale della nazione che fa il paio col genocidio indiano. Lincoln, Django Unchained e 12 anni schiavo sono opere diverse e discordanti fra loro, la cui vicinanza temporale induce a letture maggiori e diventa qualcosa di più di una coincidenza. Se nel film di Steven Spielberg la figura e la condizione dello schiavo è nascosta tra discorsi, proroghe e mediazioni, in quelli di Quentin Tarantino e di Steve McQueen la visione è eversiva, poiché lo schiavo sfida l’impero o lo subisce per dodici anni. Ad ogni modo, il soggetto affrontato, aggredito, sfidato e condiviso sottolinea la delicatezza di una vicenda lontana dall’essere assorbita nel Paese di Barack Obama.
Quando ha ricevuto il Golden Globe per il miglior film drammatico, il regista ha chiamato sul palco anche attori e produttori, affermando che tutti meritavano quel premio nella stessa misura. In effetti, in 12 anni schiavo si coglie una coralità che comprende regista, interpreti, fotografia e colonna sonora firmata dal musicista tedesco Hans Zimmer, senza che si intraveda il predominio di una singola figura sugli altri. Senza dubbio Bim, distributore italiano del film, si trova tra le mani una delle pellicole più toccanti dell’anno e in odore di Oscar. Il film uscirà in Italia il 20 febbraio.
Enrico Riccardo Montone
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