Si dice che ogni uomo sia figlio del suo tempo, di quella stessa convenzione sociale, cioè, che lui stesso ha creato. L’arte in ogni sua manifestazione, a sua volta, risulta essere il collante, il giuramento di un amore che non vuol finire, dove l’uno continua a vivere nelle memorie dell’altro. È espressione di un essere che non conosce limiti biologici, perchè chiunque, qualsiasi sia il periodo in cui viva, può apprezzarlo, può meravigliarsene o, addirittura, immedesimarsi in esso. È innegabile, d’altro canto, che con il passare dei secoli, la società cambia e con lei ciò che l’uomo ha da osservare, da imparare. Mutano le abitudini, le certezze, le priorità, le imposizioni, le libertà, così come l’approccio di ciascuno di noi con ciò che lo circonda. Capita allora, a volte, di non riuscire a percepire il valore intrinseco delle cose destinato a perpetuare, per il solo fatto che lo si guardi indossando lenti con meno diottrie rispetto a quelle che un occhio -cieco davanti a tutto ciò che non è presente- richiederebbe. Così come capita che circa una ventina di case editrici boccino il lavoro di un premio Nobel.
È accaduto in Francia dove la scorsa estate lo scrittore Serge Volle ha presentato 50 pagine del romanzo Le Palace di Claude Simon – Nobel nel 1985 – a 19 editori, come fosse un proprio inedito. Nessuno di loro ha ritenuto, però, il romanzo degno di pubblicazione non essendoci tra loro neppure una sola richiesta volta ad approfondirne la lettura. Sette non hanno risposto; tra i restanti che hanno rifiutato, invece, uno ha esplicitamente contestato il modo di scrivere dell’evidentemente troppo poco noto esponente del Nouveau Roman, criticando le sue frasi per essere «infinitamente lunghe» e per far «totalmente smarrire il lettore».
Che Simon fosse un autore complesso, difficile da comprendere ai più e sicuramente non immediato, è sempre stata un’opinione diffusa a tal punto da assumere sembianze di constatazione, ma ciò non ha impedito alla critica di apprezzarlo e di riconoscerne le abilità, accendendo in molti la voglia di evidenziarne e palesarne le strabilianti doti. Paolo Mauri in un articolo del 1994, ad esempio, si poneva già quelle domande che oggi sembrano essere le risposte trovate da Volle. Come quest’ultimo (secondo quanto riportato da TPI POP) imputa le cause del rifiuto ad un’attuale mentalità editoriale intrisa e schiava alle logiche di mercato, in cui ciò che non è facile da capire è difficile da vendere, il primo afferma che «Il motivo per cui Claude Simon è oggi trascurato da noi non è nella difficoltà del suo romanzo, ma nella facilità cui troppo spesso ci si adatta».
Lo stesso autore che tende in una prosa corposa, attenta, dettagliata ad attribuire nelle sue righe simultaneità ad eventi lontani nel tempo, cercando di riproporre l’ anacronismo della memoria nel far riaffiorare immagini diverse, in un’ intervista in cui Elena Guicciardini gli domandava se temesse che il suo pubblico potesse perdersi nelle sfumature della sua poetica, ha affermato: «Credete che Van Gogh o Picasso si siano preoccupati di sapere se l’ uomo della strada era in grado di capire senza difficoltà la loro pittura? Io credo che uno scrittore non debba porsi problemi di questo genere. Se cerca di mettersi alla portata del pubblico, è perduto». Non voleva piacere a tutti, voleva andare là dove la penna lo portava, una meta sconosciuta in partenza persino a lui. Al contempo si accaniva nella scelta delle parole e schivo e riservato, riteneva che ogni pagina è specchio solo di quanto accade nell’autore nel momento in cui scrive e non di quello che vorrebbe riportare.
Incurante della notorietà, cercava di allontanarsi dal romanzo tradizionale e a Enrico Regazzoni rivelava «Il romanzo tradizionale è costruito secondo il modello della favola. C’ è una moralità, che ci insegna ciò che accade all’ uomo ambizioso, alla donna adultera, eccetera. I valori, insomma, le considerazioni sociali e psicologiche, il cosiddetto svolgimento logico del racconto. Ma quale logica? Madame Bovary muore suicida, ma ci sono donne che hanno tradito il marito tutta la vita e campano beate. Questo per me non è né credibile né interessante. Mentre due sensazioni, magari lontanissime fra loro, che improvvisamente si trovano vicine nel testo: ecco, questo è credibile».
«Il criterio che rende le associazioni necessarie -lo dico sapendo che in molti rideranno – è quello dell’ armonia, della bellezza della frase. Se una frase non è bella, è stupida. C’ è un testo straordinario di Novalis che paragona la scrittura alla matematica: la matematica, dice, non esprime altro che la propria natura meravigliosa, ed è per questo che è in grado di spiegare i rapporti fra le cose. Se un’ equazione è falsa, non esprime nulla. E a che si riferisce la verità, o la falsità, di un’ equazione? Alla matematica, e basta. Ugualmente, se una frase è brutta, perché non sente la lingua nella sua cadenza e nella sua armonia, non esprime nulla» continua poi. Tra i suoi scopi, dunque, quello di ricercare e trasmettere bellezza: la stessa che oggi, forse, troppo spesso, non siamo più in grado di riconoscere.
Concetta Interdonato
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