Da sempre l’uomo, ispirato dalla onnipotenza divina, animato da necessità o da un intrinseco spirito di iniziativa, tende a inventare e/o a fabbricare sempre qualcosa di nuovo. Così sono nate ruote, barche, case, strade, quadri, libri, poesie… e per lo stesso motivo è nata l’arte degli origami. La tecnica di produzione della carta arrivò in Giappone intorno al 610 d.C. ed è da allora che i nipponici hanno iniziato a dare ai fogli le più svariate forme. Origami letteralmente significa piegare (ori) la carta (kami), ma sono molte le interpretazioni che vedono nell’idioma un’allusione al trascendente. Kami, infatti, indica foneticamente anche qualcosa che sta sopra, che galleggia; da qui deriva l’idea di un legame con chi sta in alto, oltre che un’ampia valenza della pratica in ambito religioso. I gohei, ad esempio, rappresentano un rapporto con l’ultraterreno, quasi una sorta di richiamo per gli dèi, e hanno costituito in passato il premio che spettava agli atleti in caso di vittoria. Le stese strisce venivano usate dai samurai per consacrare i luoghi in cui sarebbero state costruite le spade.
Se in un primo momento le figure realizzate avevano natura esclusivamente simbolica e rituale, quando la fabbricazione della carta smise di essere prerogativa dei monaci, durante il cosiddetto periodo Heian, esse iniziarono ad assumere carattere profano. Dai modelli più astratti si passò, dunque, ad altri più realistici: riproduzioni di fiori, insetti, animali. Nel tempo gli origami diventarono, pertanto, un elemento distintivo della tradizione orientale, dove le decorazioni di carta vengono accompagnate ai doni in segno di buon augurio, nonché utilizzate per conservare erbe officinali o intrappolare spiriti maligni. Anche le lettere di scuse al signore del luogo o quelle all’amata venivano piegate in modo che dalla forma, ancor prima di leggerne il contenuto, il destinatario potesse capire lo scopo del mittente. È stato necessario attendere, però, il XX secolo perché l’arte dell’origami arrivasse e fosse apprezzata in Occidente. Il modello oggi più conosciuto al mondo, anche simbolo internazionale dell’origami, è la famosa gru, in giapponese tsuru.
Gli uccelli, data la loro longevità, venivano regalati in miniatura cartacea ai malati come augurio di una veloce guarigione. L’aneddoto più noto legato a questa tradizione è quello di Sadako Sasaki, una bambina che, a seguito delle radiazioni provocate dallo scoppio della bomba atomica ad Hiroshima, si ammalò di leucemia. Sembrerebbe che la bambina iniziò a piegare mille gru, numero che secondo una storica leggenda dell’arcipelago avrebbe portato alla realizzazione dei propri desideri, utilizzando qualsiasi materiale cartaceo a sua disposizione, comprese le scatole dei farmaci. Il suo sogno era quello di guarire e di rendere immune il mondo alla sofferenza della guerra. In memoria della piccola che morì prima di riuscire a portare a compimento la propria opera venne eretta una statua nel Parco della Pace di Hiroshima, dove chiunque può lasciare un proprio origami.
Oggi la dolce undicenne sarebbe felice di sapere che gli scienziati del Massachusetts Instituite of Technology (MIT) di Boston hanno utilizzato la tecnica dell’origami per creare un piccolo robot in grado di evitare a molti pazienti la sofferenza di sottoporsi ad operazioni invasive. Si tratta di un concentrato di nanotecnologia, un mini-apparecchio piegato in maniera simile ad una pillola, che, una volta ingerito, si apre pronto ad intervenire dove occorre. Il nuovo metodo indolore permette di rimuovere oggetti estranei ingeriti casualmente – spiacevole incidente che accade comunemente perfino ai bambini, quando giocano con le batterie – e di curare alcune lesioni. Se è stato difficile trovare i materiali biocompatibili da utilizzare per tale creazione, una volta scelti i tessuti dell’intestino del maiale (simili a quelli dell’uomo) è stato facile renderlo capace di sciogliersi anche in assenza di acidi gastrici, grazie a un involucro di ghiaccio che lo ricopre.
Presentato a Stoccolma alla International Conference in robotics and automation (ICRA) apertasi il 16 maggio scorso, per il momento l’origami curativo è stato sperimentato solo in uno stomaco sintetico di silicone. Daniela Rus, direttrice del Computer science and artificial intelligence laboratory, però, non si vuole fermarsi qui: «Stiamo pensando di migliorare la funzionalità dell’origami, dotandoli di sensori, in modo che possa controllarsi da solo. È veramente eccitante vedere il nostro piccolo robot in azione, mentre svolge un compito con così importanti applicazioni per la salute umana». Si può pensare, allora, che proprio nel punto in cui arte e scienza si fondono i desideri diventino realtà.
Concetta Interdonato
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