Dopo mesi di estenuanti trattative fra il governo italiano e la Commissione Europea, lunedì sera il Tesoro ha intascato la lettera a firma Valdis Dombrovskis (vicepresidente della Commissione) e Pierre Moscovici (commissario agli Affari economici e monetari): via libera nel 2016 alla flessibilità richiesta per 14 miliardi, pari allo 0,85% del PIL. In particolare, gli sconti concessi nel percorso di riduzione del deficit riguardano le riforme strutturali considerate convincenti per lo 0,5% del PIL, gli investimenti produttivi per lo 0,25%, per la crisi migratoria per lo 0,04% e per le rafforzate misure di sicurezza per lo 0,06%.
Come contropartita, l’esecutivo italiano si è impegnato con le autorità di Bruxelles a rispettare pienamente i vincoli di bilancio nel 2017, garantendo così un disavanzo non superiore all’1,8%. Rigorosi domani per essere flessibili oggi, questo è lo scotto da pagare per l’Italia. E ciò significa appesantire fin da ora la legge di stabilità, per l’anno prossimo, di circa 10 miliardi; senza dimenticare i 15 miliardi che sarebbero necessari per disinnescare le clausole di salvaguardia sull’Iva e tutte le promesse che sono state fatte nei mesi scorsi dal Presidente del Consiglio: flessibilità pensionistica, aiuti alle famiglie, riduzione delle imposte. Gli unici strumenti a disposizione, una volta eliminata la possibilità del deficit, sono tagli della spesa pubblica o aumenti delle tasse. Non pare un’impresa semplice, dal momento che la scorsa manovra di bilancio era stata coperta per metà proprio dal deficit.
Lorenzo Guasco
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