La recente visita ufficiale al palazzo del Cremlino da parte del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è stata principalmente occasione di confronto con Vladimir Putin e Dmitrij Medvedev su temi caldi riguardanti il quanto mai delicato scenario internazionale ma è servita anche per allentare la corda sul piano dei rapporti commerciali tra i due Paesi. Il dialogo tra le due parti è il viatico essenziale per riprendere una volta per tutte i rapporti commerciali e creare le premesse ideali per un disgelo che nei fatti darebbe una boccata d’ossigeno all’export italiano, ormai sceso ai minimi storici nell’ex Unione Sovietica alla luce dell’embargo ai prodotti recanti l’etichetta UE disposto da Putin in risposta alle sanzioni commerciali applicate nei confronti della Russia.
Sono trascorsi ormai 2 anni e otto mesi da quando il leader del Cremlino firmò di suo pugno il decreto con cui chiudeva le porte alla merce proveniente da Unione Europea, Norvegia, Stati Uniti, Canada e Australia. Un blocco che l’export nostrano ha pagato a caro prezzo con effetti a cascata per settori che vanno dalla filiera agroalimentare all’industria della moda fino al mercato automobilistico, dove con il passare degli anni si era fortemente consolidata la presenza del marchio italiano sul territorio. Un duro colpo per il commercio estero, che si è visto tagliare le gambe dopo aver conosciuto un periodo di crescita travolgente in Russia. Come se non bastasse, alle perdite dirette riguardanti le mancate esportazioni si sommano anche quelle indirette: il danno d’immagine è notevole se si mette in conto il boom del prodotto tarocco spacciato per autentico Made in Italy (come non ricordare a tal proposito il caso del famigerato parmesan di dubbia provenienza italiana). Il “prezzo da pagare” a causa dell’embargo è quindi elevato se si considera che negli anni è andato letteralmente in fumo un giro d’affari del valore di oltre 10 miliardi di euro.
Gabriele Mirabella
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