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Romagnoli illumina le sale di Casa Saraceni
14 Aprile 2017
IncontriBolognaAttualità

Romagnoli illumina le sale di Casa Saraceni

Home » Attualità » Incontri » Romagnoli illumina le sale di Casa Saraceni

Per ben 36 anni le sue opere sono rimaste negli archivi della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna ed ora finalmente rivedono la luce. In occasione dell’apertura della mostra “Al chiaro di luna” del grande artista faentino, Voci di Città partecipa all’inaugurazione per ascoltare direttamente le parole del curatore Angelo Mazza e del presidente Leone Sibani.

BOLOGNA — Cos’è una mostra se non la storia di un artista raccontata attraverso le sue opere?
E come ogni narrazione che si rispetti ha un inizio: un preciso istante in cui qualcuno, volontariamente o no, ha deciso di dare il via ad un percorso. Leone Sibani inaugura l’esposizione raccontando proprio il momento che ha visto nascere il legame tra la famiglia dell’artista e la Fondazione Carisbo.
«È una mostra che sento quasi mia», inizia il presidente, «mi ricordo ancora quando ho visto entrare in banca la sorella di Romagnoli, Annunziata. Era il 1978, due  anni dopo la morte del pittore. Ad accoglierla Guglielmo Gola, allora vicepresidente, ed io ancora vicedirettore; ci lasciò ben 159 opere. Suo fratello avrebbe voluto così: era molto innamorato della città e avrebbe voluto che proprio Bologna lo onorasse».

Anche il curatore Angelo Mazza, direttamente a Voci di Città, confessa di essere estremamente contento ed orgoglioso di vedere come le persone decidano di elargire donazioni di questo tipo alla Fondazione. «Ci permettono di continuare a fornire un servizio di formazione culturale, artistica a titolo gratuito, senza scopo di lucro». Ed è proprio quello che anche questa volta è stato fatto. Nel 1981 venne subito realizzata un’esposizione monografica delle opere dell’artista, ma le immagini di nudi femminili, come racconta Sibani, destavano ancora un po’ di scalpore nella Bologna dell’epoca. Così sono state riproposte ora anche se in numero ridotto rispetto alle 159 iniziali, poiché metà di queste sono rimaste di proprietà della banca.

Ma da tale selezione di 70 opere si evince perfettamente l’animo e la tecnica dell’artista faentino.
«La fondazione ha voluto valorizzare il suo patrimonio», ci spiega il curatore Mazza, e lo ha fatto scegliendo dai suoi archivi le opere di un pittore che forse sarebbe meglio conoscere un po’ di più, che la stessa critica ha spesso snobbato, ma che in realtà ha ottenuto risultati notevoli ed è arrivato dove molti più grandi di lui sono caduti.
Un pittore e sculture dall’animo schivo che nonostante i profondi legami con i compagni di studi all’Accademia d’Arte di Bologna, ha sempre sviluppato uno stile fuori dal suo tempo: né plastico né metafisico.
Le opere di Romagnoli raccontano le sua memoria, la sua idea di sogno anche se mantenendo marcati tratti di grandi artisti classici come Tiziano o Degas. «Al chiaro di Luna, da cui prendere il nome la stessa mostra, è un quadro che sembra raffigurare una Maja desnuda molto bolognese» ironizza il curatore. Un dipinto malinconico e allo stesso tempo poetico, simbolo della pittura di Romagnoli fatta di figure eteree, inserite in fumose atmosfere dai contorni poco netti. Qui ritratta la modella Zoraide Domenichini che con l’artista avrà un importantissimo rapporto, conosciuta nel 1924, diverrà la sua dolce ossessione tanto che la riproporrà anche nell’affresco della volta del Palazzo della Prefettura di Bologna come personificazione della città.

Al chiaro di luna

La figura della donna è, infatti, sottolineata nell’intero percorso espositivo con moltissime opere tra cui quella che li raffigura insieme intitolata Autoritratto a figura intera con modella, molto particolare e di notevole prestigio. «Sono rimasto folgorato nel vedere la figura di Zoraide in gesso così illuminata, rende perfettamente la sua plasticità, il suo volto trasognato, ispirato»
Così Mazza descrive la statua intitolata Ponoma che svetta al centro della sala. Ma oltre il tema della donna, tanti i progetti dell’artista che questa mostra riesce a presentare ed illustrare: dal modello in gesso rimasto a testimonianza delle decorazione interne realizzate per l’ex Teatro Verdi distrutto dalla guerra, sino all’esposizione di altri temi cari al pittore come le nature morte e i paesaggi. Insomma una figura veramente versatile e duttile che da questa selezione di opere si può scoprire in tutte le sue sfaccettature.

Giulia Bergami

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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