IRAN – È censura contro l’arte in Iran: il regista iraniano Karimi condannato a sei anni di carcere e duecento frustate «per propaganda antigovernativa» e «insulto nei confronti di ciò che è sacro». Si tratta dell’ultima delle tante storie di violazione della libertà di espressione da parte del governo iraniano e del regime islamico. Keywan Karimi, 30 anni, è vincitore di diversi premi internazionali per la propria capacità cinematografica, ma l’ultimo film girato in Iran, dal titolo Writing on the city lo ha portato alla condanna per blasfemia. Prima di lui è toccato al regista iraniano Jafar Panaki, arrestato nel 2010 e condannato per il film Taxi Teheran con il quale ha denunciato il regime del proprio paese attraverso il mezzo cinematografico.
«Realizzo film per la storia, per testimoniare quello che succede nel mio paese e nella mia vita», così dichiara Karimi al quotidiano francese Le Monde. Dopo dieci anni trascorsi a girare il mondo per realizzare cortometraggi di successo, nel 2013 iniziano i problemi del regista iraniano, quando la polizia fa irruzione nella sua casa a Teheran: «mi hanno portato via l’hard disk con tutto il materiale del film. Sono stato arrestato e detenuto per due settimane nel carcere più duro del paese, poi mi hanno liberato su cauzione». Il capo d’accusa contro Karimi è la propaganda antigovernativa. Si tratta, però, di “processo alle intenzioni” considerando che la presunta scena di sesso per cui è stato condannato non è stata mai girata, ma per i giudici del regime l’intenzione è sufficiente per la condanna. «Per ora sono libero, ma non so cosa accadrà domani», così conclude l’intervista il regista perseguitato.
Ester Sbona
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