Manca meno di una settimana alla fatidica data del 4 dicembre: giorno che decreterà, sulla base dei risultati delle urne, la possibile conferma della riforma costituzionale targata Partito Democratico. Nessuno si sarebbe aspettato una campagna propagandistica con toni tanto accesi, con il Paese che pare diviso in due. L’unica certezza, comunque vada, sarà il grande malcontento di una parte o dell’altra una volta comunicato il risultato del referendum nella giornata del 5 dicembe. Pertanto, spetterà al Presidente Mattarella cercare di ristabilire gli equilibri, contemperando gli interessi dei due estremi che sembrano ormai inconciliabili.
La vittoria del “No” porterebbe inevitabilmente ad una crisi di governo e gli oppositori di Renzi esorterebbero con insistenza Mattarella per sciogliere le Camere. Potrebbe, altrimenti, verificarsi l’eventualità di un governo tecnico, come già presagito dal presidente del Consiglio, lasciando il Paese nelle mani di figure ancora ignote. Al contrario, la vittoria del “Sì” decreterebbe la stabilità del governo Renzi ma rimarcherebbe una frattura già evidente tra chi sostiene l’esecutivo e tutti coloro i quali non si sentono rappresentati da uno dei governi più criticati della storia repubblicana.
Il registro della campagna referendaria, già definito «aberrante» dal presidente emerito Giorgio Napolitano, risulta da ambo i lati sempre più violento, esasperante e pieno di colpi bassi. I talk show e le dichiarazioni sui giornali dei vari esponenti politici evocano veleni passati e presenti; per questa ragione sarà necessario che la più alta carica dello Stato, qualunque sia l’esito sancito dal voto, intervenga a smorzare i toni. Il fronte del “No” ha già dichiarato che, in caso di vittoria del “Sì”, farà ricorso per mettere in dubbio la legittimità delle procedure di voto, considerate alcune presunte irregolarità nel voto degli Italiani all’estero.
Invece, la vittoria del No e la probabilità considerevole che il Premier decida di dare le sue dimissioni, porterebbero Mattarella ad avviare le dovute procedure sancite dall’articolo 88 della Costituzione sullo scioglimento delle Camere. Resta poi l’interrogativo della legge elettorale, dato che l’Italicum potrebbe essere bocciato dalla Consulta. L’ipotesi del governo tecnico, che in caso di vittoria del no resti in carica per chiudere il discorso Italicum prima del 2018, sembra quindi la più concreta. Restano, in conclusione, una manciata di interrogativi che solo il capo dello Stato potrà e dovrà sciogliere molto presto.
Francesco Laneri
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