In Italia, il mondo dell’accoglienza dei migranti è parecchio più articolato di quello che si possa pensare e molte delle sue parti rimangono oscure alla maggior parte di noi. Non esistono solamente strutture pubbliche destinate all’accoglienza dei soggetti richiedenti asilo, ma vi sono anche migliaia di strutture private.
Vi sono, innanzitutto, i CAS (Centri per l’Accoglienza Straordinaria), i quali a loro volta si suddividono in due sotto-insiemi. Il primo è quello che riguarda i centri gestiti direttamente dal Governo, ramificandosi, poi, in altri quattro raggruppamenti: CPSA (Centri di primo soccorso e accoglienza); CDA (Centri di accoglienza), CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e i CIE (Centri di identificazione espulsione), tutti proiettati verso una nuova identità che sta facendo discutere molto in questo periodo. Il secondo è quello rappresentato dal Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), gestito attraverso gli enti locali con l’importante supporto del settore terziario, che offre soprattutto servizi per l’accoglienza e l’integrazione dei migranti, in quanto trattasi di strutture ospitanti un numero limitato di posti.
Secondo i dati rilasciati dal Ministero degli Interni, è il primo sotto-insieme ad accogliere il maggior numero di soggetti bisognosi: sono 136.706 coloro accolti nei CDA, su un totale di 176.671 migranti arrivati in Italia nel 2016. Nel 2015 i costi di gestione complessivi stanziati dal Governo per coprire le spese dei centri di accoglienza, sono stati 1,6 miliardi di euro, un numero che nel 2016 sarà sicuramente maggiore poiché incrementatosi anche il numero di bisognosi arrivati nel nostro Paese. Quello che in molti non sanno però è che gran parte dei costi sono coperti dall’Unione Europea, la quale ha distribuito un totale di 2,5 miliardi di euro per gestire l’emergenza migranti. Di questi, 560 milioni sono stati destinati all’Italia, diventando colei che ha ricevuto la quantità più consistente di denaro rispetto a tutte le altre nazioni europee. L’accoglienza dei richiedenti asilo ha un costo che il Ministero dell’Interno ha calcolato in circa 30-35 euro al giorno per persona. Questi 35 euro sono quelli che giornalmente vengono versati nelle casse dei gestori delle strutture temporanee di accoglienza e non nelle “tasche” dei migranti, ai quali spetta un pocket money giornaliero di 2,5 euro (compresi nei 35 euro).
I problemi iniziano, però, quando molte cooperative che non hanno solide basi economiche e non ricevono prontamente i soldi dalla prefettura non rilasciano i pocket money. Inoltre, il sistema si è ulteriormente aggravato a causa del subappalto: capita molto spesso che alcuni centri remunerati con i 35 euro al giorno per migrante li trasferiscano, a loro volta, ad altri centri che li tengono per 20 euro al giorno, un po’ come se si fosse a un’asta o al mercato. Il rischio è che ad arricchirsi siano: i centri accoglienza che subappaltano o che non gestiscono le somme ricevute in modo corretto, i privati gestori di centri improvvisati e le banche che concedono prestiti agli enti gestori.
Una diffusa disinformazione e una pessima organizzazione hanno fatto in modo che il “focus” della questione immigrazione si spostasse da un’accoglienza regolata ad un giro di interessi che porta vantaggi economici solo ad una piccola parte della nostra società, facendo esplodere anche la questione del razzismo e una diffidenza diffusa nei confronti di queste persone richiedenti asilo. Stando ai dati ufficiali, nei casi in cui questa situazione venga gestita in modo corretto seguendo le giuste regole, l’economia generata dagli immigrati, i quali vivono stabilmente nel nostro Paese, è stata calcolata in 127 miliardi di euro: quelli regolari sono oltre 5 milioni, pari all’8,2% della popolazione italiana. Molti sono diventati imprenditori, altri dipendenti. In parte mandano i loro soldi guadagnati alle famiglie lontane e con i restanti pagano tasse e contributi.
Sara Forni
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