Un tema ampiamente trattato all’interno della storia dell’arte è senz’altro quello del bacio. Vari artisti si sono cimentati nella rappresentazione pittorica di ciò che unanimamente associamo all’amore, al desiderio fisico e alla smodata passione e, dovendolo raffigurare con semplici pennellate, incontrarono un’enorme difficoltà data la complessità di un istante così immediato e appagante.
Databile al 1531 e ubicato a Vienna, nel Kunsthistorisches Museum, il dipinto di Antonio Allegri detto Correggio, appartiene alla serie Amori di Giove. La tela, commissionata dal duca Federico II Gonzaga, rappresenta l’adulterio di Giove con Io, la sacerdotessa di Era, la quale è conosciuta nella mitologia romana con il il nome di Giunone. Nonostante il supremo capo dell’Olimpo fosse passionale a livelli inauditi, avendo paura di scatenare una gelosia smisurata nei confronti della moglie, fece precipitare una nuvolaglia per celare il suo invaghimento. A differenza delle altre tre tele Leda e il cigno, Danae e la pioggia dorata e Ganimede rapito dall’aquila, Giove e io è quella in cui si ritiene che Correggio abbia espletato maggiormente la sua spiccata abilità nella creazione di un’ atmosfera totalmente abbandonata e nella personificazione di Zeus in una nuvola grigia e avvolgente.
Collocato nella Pinacoteca di Brera a Milano, è ormai da tempo ritenuto il bacio più insigne dell’Ottocento e con il quale Francesco Hayez riuscì a riassumere tutte le sfumature e peculiarità del Romanticismo italiano. Non a caso è stato realizzato nel 1859, quando la penisola italiana era frazionata in piccoli stati essendo sotto il dominio degli Asburgo d’Austria e si era a pochi passi dall’attesissima unificazione. Il quadro ebbe ben quattro versioni ma l’ultima è quella più consona a mostrare attentamente le tonalità con cui è stato reso l’abbigliamento che spicca rispetto a tutto ciò che caratterizza la composizione. Al centro vi è una coppia aggomitolata nella passione e consapevole della tristezza del momento. I dettagli che fanno percepire l’ imminente addio dell’uomo sono il suo piede sulla gradinata e l’ombra in lontananza su cui ci sono interpretazioni differenti: un nemico del protagonista o una domestica curiosa dell’avvenimento. Lo spettatore non si distrae affatto, rimane immobile nella visione della loro sagoma tralasciando qualsiasi minuzia esterna.
Con Roy Lichtenstein si approda in una dimensione completamente diversa rispetto a quella delle due opere sopra presentate: il fumetto. Egli, riesaminando la maggior parte degli stili nati durante il Novecento, mescola cubismo, futurismo, espressionismo e action painting e si attesta come pittore originale nell’espressione della cultura americana del secondo dopoguerra. La sua è una tecnica assolutamente stravolgente e per risollevare una caratteristica tipica delle riviste degli anni cinquanta e sessanta, cioè l’effetto dell’immagina puntinata, impiega i puntini Ban Day che prendono tale denominazione dall’inventore Benjamin Day.
Nel corso dei secoli numerosi artisti si sono addentrati in questo tema, apparentemente semplice ma complicato proprio nella sua accessibilità. Riuscire a rappresentare su tela un momento così intenso e significativo come un bacio è una capacità riservata a soli pochi, grandi maestri dell’arte. Uno dei grandi scrittori italiani, Erri De Luca, è stato in grado di chiarirne la vera essenza suggerendo questa frase: «I baci non sono anticipo d’altre tenerezze, sono il punto più alto. Dalla loro sommità si può scendere nelle braccia, nella spinta dei fianchi, ma è trascinamento. Solo i baci sono buoni come le guance del pesce. Noi due avevamo l’esca sulle labbra, abboccavamo insieme».
Sara Santoro
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