Dopo la terribile vicenda di Nizza si è discusso parecchio sui metodi di sicurezza da mettere in atto per contrastare il terrorismo. Più volte è stato chiamato in causa il modello di sicurezza dell’aeroporto “Ben Gurion” di Tel Aviv. Ma come funziona esattamente la sicurezza nell’aeroporto israeliano?
Dopo la strage avvenuta a Nizza il 14 luglio, giorno della festa nazionale francese, ci si interroga sul perché azioni del genere siano state messe in atto nonostante l’allerta in Europa e, soprattutto in Francia, fosse così alta. Ancora una volta, dopo una violenta strage, siamo andati a guardare chi sembra stare meglio di noi in materia di sicurezza e, nuovamente, si è parlato dello Stato di Israele e del modo in cui viene contrastato il terrorismo e il pericolo di attentati negli aeroporti. Tanti inneggiano al metodo restrittivo che i militari israeliani utilizzano per garantire la sicurezza nei loro aeroporti, altri spiegano che è un metodo incompatibile con i nostri sistemi e con il contesto sociale in cui viviamo.
L’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv è considerato il più sicuro al mondo, e di certo chi ha fatto scalo in questo luogo avrà avuto un impatto diverso sul sistema di sicurezza rispetto a tutti gli altri aeroporti d’Europa. Si potrà subito notare come l’aeroporto Ben Gurion non ha le sembianze di un gigantesco centro commerciale a differenza degli aeroporti Europei, dove per raggiungere l’imbarco bisogna addentrarsi in mezzo a una folla intenta a fare shopping, mangiare, bere o passeggiare, ma si presenta come un edificio esclusivamente funzionale al viaggiatore e al motivo per cui è lì: prendere un volo. Negli aeroporti israeliani, nelle stazioni degli autobus e in quelle ferroviarie, ci si va per spostarsi da un punto all’altro consapevoli del fatto che, essendo luoghi affollati, possono essere potenziali obbiettivi per i terroristi, perciò vengono attraversati velocemente, cercando di rimanerci il più breve tempo possibile.
Per accedere all’aeroporto e imbarcarsi bisogna superare una serie di controlli, che corrispondono a cinque livelli di sicurezza: Il primo livello è presente a circa un chilometro dalla porta d’ingresso dell’aeroporto. Chi arriva con i mezzi pubblici dovrà passare attraverso un metal detector. Chi, invece, arriva con una macchina privata o in taxi viene fermato da almeno due agenti che chiedono la destinazione. Il secondo livello consiste nella presenza di numerose guardie armate che si limitano ad osservare e a chiedere informazioni ad alcuni viaggiatori, scegliendo “casualmente”.
Nel terzo livello decine di agenti interrogano tutti i viaggiatori, chiedendo la destinazione e studiando i passaporti per capire se ci sono timbri di Paesi nemici o “non-amici”. Questo processo prende il nome di profiling, una sorta di analisi psicologica dei passeggeri da parte di professionisti della sicurezza: I militari vogliono sapere la professione, il motivo per il quale si soggiorna in Israele, quali persone sono state incontrate, chi ha preparato il bagaglio e se questo è stato sempre sotto il controllo del proprietario. Se qualcosa sembra sospetto, gli agenti vanno più a fondo facendo domande più specifiche e personali, facendo più attenzione al tono delle risposte, ai movimenti facciali, agli stati d’agitazione. Alla fine di questo step, i passeggeri si avviano verso il check-in con un’etichetta gialla sul retro del passaporto. L’etichetta presenta un codice a barre con una serie di dieci numeri, e con la prima cifra che va da 1 a 6 per indicare il “livello di pericolosità”. Le cifre 1,2,3 di solito, anche se le autorità israeliane non ne hanno mai dato conferma, sono destinate ai cittadini israeliani o stranieri di religione ebraica. Il 4 e il 5 ai turisti, e il 6 ad arabo-israeliani, palestinesi, visitatori originari o provenienti da un Paese musulmano.
Dopo questo rigido controllo si passa al quarto livello, che consiste nella scannerizzazione del codice attaccato sul passaporto. Questo procedimento indicherà all’agente quale percorso dovrà seguire il passeggero: I turisti che hanno avuto dall’1 al 4 proseguiranno direttamente verso l’imbarco. I passeggeri dal 5 al 6 vengono invece messi in fila per ulteriori controlli: I “5” faranno analizzare il bagaglio ai raggi X e passeranno ulteriormente attraverso un metal detector. I “6” compiono lo stesso itinerario, ma la loro valigia verrà aperta da un agente che cercherà di individuare tracce di materiale esplosivo o radioattivo.
Bisogna fare però delle precisazioni: lo Stato di Israele è un Paese che convive con il terrorismo da decenni. La dottrina militare israeliana si basa per tradizione su due principi fondamentali: deterrenza e offensiva. Entrambi sono considerati strategicamente necessari per compensare la vulnerabilità di Israele, dovuta alla sua collocazione geografica (Israele è circondato da Paesi arabi ostili o comunque non amici). Per questo motivo, alla base del “modello israeliano” c’è un accordo fra governo e cittadini che prevede l’accettazione di quest’ultimi di ragionevoli limitazioni alla loro privacy e ad alcune rinunce in termini di comfort: Arrivare 3 ore prima di un volo all’aeroporto, permettere agli agenti di sicurezza di aprire le borse prima di ogni ingresso al cinema, centro commerciale o ufficio pubblico, far bonificare le auto prima di entrare in un parcheggio pubblico, servizio militare accessibile a uomini e donne. È inoltre diffusa la convinzione che sia giusto destinare una quota importante della finanza pubblica alla spesa per le forze dell’ordine e di sorveglianza.
Inoltre, Israele ha un problema logistico in meno rispetto ai maggiori aeroporti europei: le dimensioni dell’aeroporto Ben Gurion sono molto ridotte rispetto ad aeroscali come quello di Madrid, Barcellona o Berlino. È doveroso, quindi, ricordare il contesto socio-politico in cui versa lo Stato di Israele, con la presenza, fin dalla sua nascita, di alte tensioni dovute ai conflitti con i Paesi arabi e agli attentati sempre più violenti che hanno caratterizzato lo scontro Israelo-Palestinese. Come ha fatto notare il neo premier britannico Theresa May, infatti, introdurre un altro strato di sicurezza potrebbe far crescere la moltitudine dei passeggeri e spostarla da una zona all’altra rischia di esporre la folla all’azione di terroristi.
Gianluca Merla
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