Leggere un simile titolo riporta automaticamente la memoria a quella retorica leghista di qualche anno fa, quando il segretario del Carroccio era ancora Umberto Bossi e il progetto della secessione era un punto concreto del programma del medesimo partito. Eppure il contesto di fondo attuale è molto diverso. Il leader del partito è Matteo Salvini e il sogno della Padania sembra ormai un retaggio storico e culturale definitivamente messo da parte. Non è infatti un mistero l’apertura della nuova Lega verso il meridione, con la fondazione del movimento Noi con Salvini, che raccoglie numerosi consensi anche al sud. Quindi i referendum proposti dalle regioni Lombardia e Veneto hanno nettamente un sapore diverso, benchè appoggiati dalla stessa forza politica. Roberto Maroni e Luca Zaia hanno dichiarato di voler portare alle urne i cittadini il 22 ottobre prossimo. L’oggetto del quesito referendario sarà la richiesta di maggiore autonomia al Governo per Lombardia e Veneto. Non sarà, come già sottolineato, una proposta di secessione ma una richiesta di nuovi poteri, sulla base del modello delle regioni a statuto speciale.
«Volete voi che la Regione Lombardia, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma della Costituzione?»: questo il quesito che, salvo colpi di scena, verrà sottoposto ai cittadini lombardi e, in forma analoga, a quelli veneti. Il referendum, peraltro, avrà natura consultiva e non sarà previsto un quorum. Se il voto dovesse portare ad un esito positivo, i governatori delle due regioni dovranno poi aprire una fase di negoziato col Governo e presentare al Parlamento una proposta di legge sul tema, che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti delle due Camere. Il Governo presieduto da Paolo Gentiloni ha già sollecitato Maroni e Zaia ad avviare una fase di trattative, senza ricorrere allo strumento referendario.
«Io sono sempre pronto al dialogo. Ma il problema è che non mi bastano le aperture significative: sono disposto a collaborare col governo se ho la certezza di arrivare a un punto tale che rende inutile il referendum, perché ci dà maggiore autonomia e maggiori risorse. Se non ho questa garanzia, il referendum lo facciamo» ha affermato il governatore lombardo Roberto Maroni, esponente della Lega Nord. In particolare, l’oggetto principale dei negoziati con l’esecutivo consiste nel rientro di parte delle entrate fiscali che andrebbero allo Stato e che, invece, dovranno essere trattenute dalle regioni. Sembra quindi molto probabile la strada che porterà le due regioni italiane al voto, il cui risultato potrebbe avere, oltre a rilevanti ripercussioni pratiche, anche un importantissimo significato politico.
Francesco Laneri
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