«Di doman non v’è certezza» cantava Lorenzo de’ Medici nella sua opera Canzona di Bacco. Il significato più basilare di questo verso è riconducibile alla situazione che sta vivendo Julian Assange, passato alla storia come fondatore di WikiLeaks. Il giornalista e attivista australiano è rifugiato da quattro anni, “festeggiati” lo scorso 19 giugno, nella sede diplomatica dell’Ecuador a Londra, da cui non è mai uscito, nemmeno per prendere una boccata d’aria fresca. L’inchiesta portata avanti dalla Svezia non ha fatto alcun progresso, tanto da essere rimasta alla fase preliminare, perciò nessuno ha idea di come finirà questa incredibile storia.
La situazione, però, potrebbe ben presto cambiare e anche in modo drastico, complicando ulteriormente la vita di Assange. Nel 2017 in Ecuador si terranno le elezioni politiche e se gli equilibri attuali dovessero cambiare, come sta accadendo in più di un paese dell’America Latina, non è chiaro che ne sarà dell’asilo concesso a Julian Assange: verrà confermato o sarà revocato? Al momento l’unica certezza è l’attuale presidente Rafael Correa che in questi quattro anni ha retto a ogni pressione, proteggendo il fondatore di WikiLeaks.
Uno scossone importante a questa vicenda bloccata è stato dato lo scorso febbraio. Ci riferiamo alla decisione del Comitato ONU sulle detenzioni arbitrarie (UNWGAD), con cui ha riconosciuto ufficialmente che Julian Assange si trova in uno stato di detenzione arbitraria. «Il Comitato ONU aveva criticato la Svezia già in occasione dell’extraordinary rendition di un uomo sospettato di terrorismo, ma con la decisione su Julian Assange è la prima volta che la Svezia viene riconosciuta colpevole di violare l’articolo 9 della Dichiarazione universale dei diritti umani e l’articolo 9 della Convenzione sui diritti civili e politici contro le detenzioni arbitrarie», ha spiegato Mads Andenas, professore di legge all’università di Oslo, ai microfoni de L’Espresso.
Nonostante ciò, l’Inghilterra e, soprattutto, la Svezia continuano a ignorare quanto deciso dal Comitato ONU, tanto che, a inizio giugno, la corte di Stoccolma ha rigettato la richiesta della difesa di Julian Assange di revocare il mandato d’arresto dopo il pronunciamento ONU. Per Samuelsson, legale svedese di Assange, è convinto che il suo paese non potrà continuare a ignorare la decisione per sempre: «Nel nostro ricorso abbiamo sostenuto che le corti svedesi sono obbligate a interpretare le nostre leggi sulla base delle decisioni del Comitato ONU. La corte ha respinto il nostro ricorso, ma noi faremo appello: siamo convinti di avere forti argomenti e sentenze della Suprema Corte che supportano le nostre deduzioni».
Questa situazione sta diventando sempre più problematica per la Svezia, in quanto ignorare una decisione dell’ONU che fa finire una nazione del Nord Europa, celebrata per la sua cultura dei diritti, in una lista con regimi che imprigionano arbitrariamente giornalisti e politici, non è una scelta facile. Il professor Mads Andenas si dice convinto che, essendo la Svezia tenuta a rispettare le leggi internazionali, alla fine «le autorità svedesi cercheranno di fare tutto quello che possono per attenersi ad esse senza perdere completamente la faccia. E comunque, dal punto di vista delle leggi svedesi, la scelta di mantenere il mandato di arresto europeo è debole e ogni giorno lo diventa di più».
La situazione rischia di complicarsi ulteriormente per Julian Assange, soprattutto se alla Casa Bianca arriverà Hillary Clinton, che da Segretario di Stato andò su tutte le furie per la pubblicazione dei cablo della diplomazia USA e se in Ecuador le elezioni dovessero stravolgere l’attuale assetto politico.
Marco Razzini
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