Le vicende tra Palestina e Israele hanno origini molto lontane. Le immagini che vediamo oggi in TV sono il frutto di un passato fatto di soprusi, attentanti e vittime innocenti. Tra rivendicazioni e occupazioni, ci troviamo nel bel mezzo di una sanguinosa guerra civile che vede due popoli contrapposti in una spirale d’odio. Raccontare di questo conflitto, raccontare della Palestina, di Hamas e dei suoi razzi e di Israele, che sembra aver dimenticato la tragedia dell’olocausto, è materia assai complessa.
Partiamo dalle origini, partiamo da dove tutto è cominciato.
Tutto inizia con la dichiarazione di Balfour nel 1917. Con questa dichiarazione gli inglesi diedero il loro benestare alla creazione di insediamenti ebraici nella Palestina, all’epoca facente parte dello sconfitto Impero Ottomano. L’obiettivo finale era, dunque, quello creare una dimora nazionale del popolo ebraico.
A cavallo tra l’inizio e la fine della seconda guerra mondiale, la situazione inizia a deteriorarsi, con gli inglesi che devono rispettare la dichiarazione di Balfour e nel frattempo resistere alle spinte di autodeterminazione del popolo arabo palestinese, contrario alla presenza inglese ed ebraica. Gli inglesi sono costretti a una serie di promesse per placare il conflitto. La pubblicazione del “Libro Bianco” del 1939 va in favore agli arabi palestinesi. In questo libro viene infatti promessa loro l’indipendenza, ma non fu così.
Alla fine del secondo conflitto mondiale, gli inglesi, consci della loro pessima gestione, affidano la questione all’ONU. L’Organizzazione delle Nazioni Unite approva – con la risoluzione 181 – la spartizione della Palestina tra ebrei e arabi con Gerusalemme sotto il controllo internazionale. Nel 1948 scade il mandato inglese. Il 14 maggio dello stesso anno, David Ben Gurion, fondatore e Primo Ministro, proclama lo Stato d’Israele. Da questo momento in poi la frattura fra i due popoli sarà destinata a non rimarginarsi.
In una situazione sempre più surreale, lo Stato d’Israele consolidava la sua forza e la sua presenza. Al contrario, per la popolazione araba cominciava un vero e proprio esodo in una situazione che diventava sempre più violenta e ostile. Tra abbandoni ed espulsioni, il numero di profughi arrivò a 700.000 arabi palestinesi costretti a lasciare la propria terra.
La comunità internazionale, preoccupata dal crescente conflitto e dal massiccio esodo della popolazione araba, cerca di adottare diverse risoluzioni che prevedono il ritorno dei profughi costretti ad abbandonare la propria terra. Israele accetta non senza polemiche e non senza incidenti: Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU, venne assassinato da un gruppo di sionisti a Gerusalemme.
Nel corso degli anni sono state diverse le risoluzioni adottate dall’ONU, diversi i tentativi di giungere ad una pace che però si è sempre basata su fragili accordi e tregue dalla durata esigua. Molto spesso, le risoluzioni hanno avuto solamente il risultato di irritare le parti in causa comportando l’effetto opposto alla cessazione delle ostilità. Il risentimento contro Israele ,visto come invasore, diviene una costante e la nascita di movimenti popolari innalzerà il livello della violenza.
Saranno diverse le sollevazioni contro Israele, come “l’Intifada”, la rivolta delle pietre combattuta in Cisgiordania e Gaza. In queste occasioni nascerà l’organizzazione conosciuta con il nome di Hamas, in netta contrapposizione all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.
La nascita dell’OLP segna una svolta. Fondato nel 1964, con l’obiettivo di liberare la Palestina tramite la lotta armata, l’OLP sarà protagonista grazie alla figura del carismatico leader Yasser Arafat, premio Nobel per la pace nel 1994. L’OLP passerà dalla resistenza armata ad una strategia di negoziazione che lo porterà, nel 1988, a proclamare la nascita dello Stato indipendente di Palestina e a riconoscere la legittimità di Israele.
La pace sembrava essere cosa fatta nel 1993 con l’accordo di Oslo. L’OLP e Israele si riconoscevano a vicenda, nacque anche l’Autorità Nazionale Palestinese, un organo di governo con il compito di amministrare Gaza e alcune parti della Cisgiordania. L’accordo prevedeva inoltre la fine di qualsiasi ostilità entro cinque anni. Tutto, però, sfumò con l’assassinio del Primo Ministro israeliano Yitzhak Rabin per mano di un estremista israeliano, contrario all’accordo di pace. Anche dal lato palestinese vi fu un assassinio eccellente del capo di Hamas per mano di Israele.
Tali episodi di fatto segnarono la fine dell’accordo di Oslo.
Dal 1995 la situazione diviene insostenibile: attentanti e rappresaglie alimentano la spirale di odio e sangue. A nulla serviranno i tentativi di giungere ad una pace negli anni 2000. Il conflitto è oramai giunto ad un punto di non ritorno. Arafat appare debole (morirà nel 2004), mentre Hamas, contrario al dialogo con Israele, diviene più forte e popolare grazie al contatto diretto con la popolazione.
Sul fronte israeliano il nuovo Primo Ministro israeliano Ariel Sharon condurrà una politica meno improntata al dialogo che nel 2002 sfocerà nella costruzione di una barriera di separazione dei territori palestinesi da quelli israeliani lunga 730 km. Nel 2005 questa continua spirale d’odio e di segregazione ha portato Hamas a vincere le elezioni del consiglio legislativo palestinese. Questa vittoria, però, complica la situazione, visto che Hamas non riconosce Israele e la stessa organizzazione di Hamas viene bollata come terroristica dagli Stati Uniti e dalla stessa Unione Europea.
Dal 2000 in poi tutto lo scontro si è concentrato nella striscia di Gaza, una porzione di territorio che nel 2005 ha visto israeliani ritirarsi in favore dello Stato della Palestina. Tale ritiro, però, secondo le autorità palestinesi e gli osservatori internazionali, non sarebbe del tutto reale. Israele, infatti, controllerebbe ogni risorsa ed ogni persona all’interno della striscia di Gaza.
Oggi la situazione nella striscia di Gaza è quanto mai complessa, a causa di una leadership debole come quella di Abu Mazen, presidente dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, dell’Autorità Nazionale Palestinese e dello Stato di Palestina.
Proprio nel mese di maggio la Palestina era stata chiamata al voto (dopo 15 anni), voto che è stato posticipato a data da destinarsi dallo stesso Abu Mazen “fino a quando non si potrà votare a Gerusalemme est”.
Questa giustificazione, seppur veritiera, vista l’occupazione territoriale da parte di Israele, viene vista come un segnale di debolezza che va a vantaggio dell’organizzazione estremista di Hamas, sempre più forte nella sua azione contro Israele. D’altro canto, però, Israele non è intenzionato a dialogare, conscia della debole leadership di Abu Mazen.
Anche il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha grandi responsabilità sul perdurare delle odierne ostilità. Netanyahu, ha da sempre adottato una linea dura nei confronti della striscia di Gaza, preferendo la violenza al dialogo. La sua leadership è in discussione per due motivi: in Israele – dal 2019 al 2021 – si è votato tre volte senza che Netanyahu ottenesse la maggioranza di governo. Nel 2019 Netanyahu viene incriminato per corruzione, frode e abuso d’ufficio.
Un gioco sporco che miete migliaia di vite, una lotta impari tra uno stato allo stremo, come la Palestina e uno stato che tenta continuamente di imporre la propria presenza con ogni mezzo necessario. Forse Abu Mazen avrebbe fatto meglio a confermare le elezioni nella speranza di trovare un leader capace di saper dialogare. Nel frattempo il sangue continua a scorrere.
Benito Rausa
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