Gerusalemme, Israele – L’impietoso rapporto, stilato da Human Rights Watch, sulle condizioni al confine tra Israele e Palestina si commenta da solo.
La miriade di statistiche, i dati, gli infiniti reportage dei media – occidentali e non – quasi insultano la drammatica situazione della crisi umanitaria della Striscia di Gaza: una situazione che si protrae da decenni e che non sembra poter trovare né fine né soluzione diversa dalla continua violenza perpetrata da entrambe le parti. Dal 2000 a oggi, si contano circa 10.000 vittime: 9.600 palestinesi, 1.250 israeliani. Più di 2.000 sono bambini.
L’esecerbarsi del conflitto, nelle ultime settimane, ha raggiunto rilievo internazionale quando i capi palestinesi hanno chiamato il popolo di Gaza ad una grande marcia per il ritorno nei territori «illegalmente occupati da Israele», combattere «le mire espansionistiche dell’imperialismo israeliano» e realizzare «i termini dell’accordo di pace […] dichiarato dalle Nazioni Unite».
La protesta palestinese, guidata da Hamas, ha avuto inizio il 30 Marzo durante lo Yom al-Ard, giorno della commemorazione dei caduti durante la resistenza organizzata contro gli espropri ordinati da Israele nel 1976. Ci si aspetta che le manifestazioni continuino fino al 15 Maggio, in occasione del Nakba, in ricorrenza dell’esodo palestinese del 1948. In questo 2018 di proteste sono state registrate 67 vittime, di cui 9 bambini.
Secondo quanto riportato nel The Guardian, António Guterres – Segretario Generale delle Nazioni Unite – avrebbe chiesto l’avvio di «indagini indipendenti e di investigazioni trasparenti» sugli scontri del 30 Marzo tra i civili palestinesi e l’esercito isrealiano. I primi report raccontano di più di 750 feriti e di 15 vittime.
L’ambasciatore palestinese ha commentato la vicenda definendola un «massacro efferato»; condanna che ha trovato eco nelle parole del Presidente palestinese Mahmūd Abbās il quale ha pubblicamente accusato Israele per le violenze contro «manifestanti indifesi» e richiesto appoggio e protezione da parte della Comunità Internazionale.
Danny Danon, ambasciatore israeliano presso l’ONU, ha presto smentito le dichiarazioni palestinesi denunciando le proteste di Yom al-Ard come «un incontro organizzato e violento, mascherato sotto le spoglie di una manifestazione pacifica, per spargere terrore».
Ha fatto particolare scalpore, sul web e a livello internazionale, la notizia della morte di Yaser Murtaja – reporter e fotografo palestinese – colpito da un cecchino nonostante indossasse un giubbotto antiproiettile con la scritta PRESS. Il giornalista, come dimostrano le testimonianze del fratello (anch’egli giornalista) e dei presenti, era in possesso di una semplice fotocamera e di uno stabilizzatore e non – contrariamente a quanto sostenuto da Gerusalemme – di un comando per un drone (vietati nella zona dall’esercito israeliano perché potenzialmente pericolosi per le posizioni dei suoi ufficiali).
Secondo l’esercito israeliano la maggior parte delle vittime sarebbero, in realtà, noti terroristi appartenenti ad Hamas che si spacciano – durante le proteste – per civili disarmati. Tesi supportata dal fatto che la stessa intelligence israeliana avrebbe diffuso le foto segnaletiche di 10 delle 15 vittime. Secondo il Times of Israel i terroristi neutralizzati durante gli scontro del 30 Marzo sarebbero stati riconosciuti anche da Hamas
The Palestinian journalist syndicate said that at least 7 Palestinian journalists, clearly wearing flak jackets that describe who they are, were shot at by Israeli forces on Friday's protests in Gaza.
The two others in the photo are Adham al-Hajjar and Khalil Abu Athira. pic.twitter.com/NtocpsAHIS
— لينة (@LinahAlsaafin) April 7, 2018
Certo, le accuse dell’intelligence di Gerusalemme avrebbero maggior merito se solo non esistesse prova documentata dell’eccessivo e ripetuto uso di forza letale nel respingere i ribelli palestinesi. Negli ultimi giorni, in giro per il web, sono comparsi diversi video e diverse testimonianze dell’efferatezza adottata dall’esercito al confine con Gaza: un esempio diventato tristemente famoso su Twitter e LiveLeak è quello del giovane Mohammad Ibrahim Ayyoub (15) colpito a morte alla schiena da un cecchino israeliano. I report sul caso in questione non fanno luce sulla vicenda: le autorità israeliane affermano che il ragazzo stesse cercando di danneggiare il muro di recinzione che segna il confine militarizzato con la Palestina; Hamas afferma che stesse cercando di scappare dai colpi dei cecchini che avevano aperto il fuoco sui manifestanti.
Anche Federica Mogherini (PD), si è unita al coro di voci che domandano un’inchiesta indipendente sui fatti di Gaza. L’Alto Rappresentante per gli affari esteri dell’UE, ha in particolar modo condannato l’uso eccessivo della forza nei confronti dei manifestanti palestinesi: pratica sfortunatamente comune dell’esercito israeliano, già diverse volte condannato per la sua incapacità di ritenere responsabili i propri ufficiali che compiono atti simili nei confronti di civili.
The killing and wounding by Israeli forces of civilians demonstrating for Palestinian rights in Gaza is appalling.
The UK Government must make its voice heard on the urgency of a genuine settlement for peace and justice.
— Jeremy Corbyn (@jeremycorbyn) March 31, 2018
Alle denunce europee, dal Regno Unito, si è aggiunto anche Jeremy Corbyn. Come riportato dal The Independent, il leader del Partito Laburista ha aspramente criticato le recenti azioni di Israele, definendole causticamente come un «oltraggio». Corbyn ha, poi, aggiunto: «Aprire il fuoco contro civili disarmati è illegale e disumano […]. Il Regno Unito deve sostenere un’indagine indipendente da parte delle Nazioni Unite e rivedere gli accordi di vendita di armi che potrebbero essere usate in violazione del diritto internazionale».
Gli Stati Uniti sono l’unico paese, membro del Consiglio di Sicurezza ONU, a non aver appoggiato un’indagine indipendente sui fatti di Gaza.
Francesco Maccarrone
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