L‘infibulazione (dal latino fibula, spilla) è per definizione la mutilazione genitale femminile, che consiste nell’asportazione del clitoride, delle piccole labbra vaginali e di parte delle grandi labbra – il più delle volte con un semplice rasoio -, con successiva cauterizzazione. A ciò, segue la cucitura della vulva con ago e filo: è lasciato aperto solo un foro, per consentire la fuoriuscita dell’urina e del sangue mestruale.
La pratica affonda le proprie radici in certa cultura locale ed è diffusa maggiormente in Africa, in Arabia e nell’Asia sudorientale. Egitto – dove il fenomeno è comparso in età faraonica per la prima volta – e Somalia – definito il Paese delle donne cucite – detengono il record: circa il 90% della loro popolazione femminile ha, infatti, subito l’infibulazione. Anche altri Paesi, quali Sudan, Eritrea, Senegal e Guinea, sono afflitti dalla stessa piaga: il sistema è ritenuto utile per la preservazione dell’integrità morale del sesso debole. Così, le infibulate sono impossibilitate ad avere rapporti sessuali fino alla defibulazione (cioè alla scucitura della vulva), che nelle suddette culture viene eseguita direttamente dallo sposo la prima notte di nozze. Vedove e divorziate sono, invece, sottoposte a una reinfibulazione volta a ripristinare la situazione prematrimoniale di purezza. Naturalmente, in tal modo i rapporti divengono difficoltosi e causano non poche infezioni; anche il parto è gravemente compromesso dall’amputazione: il nascituro deve, di fatto, attraversare una massa di tessuto cicatriziale reso poco elastico a causa delle mutilazioni. Al momento della sua fuoriuscita, poi, il feto non è più ossigenato dalla placenta e il protrarsi della nascita toglie ossigeno al suo cervello, rischiando di causare non pochi danni a livello neurologico. È anche possibile un’eventuale rottura dell’utero, con conseguente morte sia del nascituro che della partioriente.
In Nigeria l’infibulazione è stata ufficialmente vietata nel giugno 2015, in Eritrea dal 2007 e in Burkina Faso già dal 1985. Sebbene questa pratica non sia menzionata nel Corano, poiché l’unica accettata è la circoncisione del clitoride, in determinate zone, i c.d. “usi e costumi” prevalgono sul diritto. In Somalia, per esempio, colei che non si fa “cucire” è considerata impura e rischia di essere allontanata dalla società, mentre in Occidente, nonostante la prassi sia rigorosamente illegale – in Italia è la legge n.7 del 9 Gennaio 2006 a sottoscrivere la mutilazione genitale femminile come reato di carattere prettamente penale -, essa è comunque svolta. Per queste ragioni, il 20 dicembre 2012 l’Assemblea generale dell’ONU ha risolto di mettere al bando universale le mutilazioni genitali femminili; tale delibera è stata, poi, sponsorizzata dai due terzi degli Stati membri delle Nazioni Unite.
La scrittrice Ayaan Hirsi Ali, somala naturalizzata olandese, si è dal canto suo proprio espressamente dichiarata contro quest’usanza (che lei stessa ha vissuto all’età di 5 anni); idem per Emma Bonino, politica italiana attiva nel campo della difesa dei diritti delle donne. Recentemente, inoltre, anche la “iena” Nadia Toffa ha svolto un servizio sull’infibulazione. Eppure, per quanto le denunce, i servizi e le leggi mondiali possano tentare, l’infibulazione è ancora fortemente diffusa: bastano un filo e un ago per infliggere a centinaia di donne una sofferenza che le accompagnerà per tutta la propria esistenza.
Francesco Raguni
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