È scontro geopolitico in Medio Oriente: l’uccisione del leader sciita Nimr al-Nimr da parte di Riyadh segna una escalation nello storico conflitto arabo-persiano. È la fine delle relazioni diplomatiche tra Ryadh e Teheran e la causa viene attribuita dai sauditi al disimpegno americano dalla regione. Dal 1979, infatti, Riyadh ha potuto contare sull’appoggio degli Stati Uniti contro il nemico persiano sciita, ma l’accordo sul programma nucleare, raggiunto lo scorso luglio dalla Casa Bianca con Teheran, ha fatto crollare le certezze dell’Arabia Saudita e dei suoi regnanti (Casa Saud).
Il contrasto tra Sauditi e Persiani affonda a dire il vero le proprie radici nell’antico odio religioso tra wahabiti e sciiti, considerati, questi ultimi, degli apostati e non dei veri musulmani. L’antico odio si è riacceso negli ultimi giorni, sfociando nell’attacco all’ambasciata dell’Arabia Saudita a Teheran e nell’uccisione di Nimr al-Nimr, leader religioso e politico del movimento di protesta esploso nel 2011 nella provincia orientale saudita per la tutela dei diritti della più grande minoranza religiosa del paese.
«È un fatto estremamente negativo in una regione piombata nel caos e afflitta da conflitti», ha così tuonato Alexey Pushkov, Presidente della commissione Esteri della Duma, all’indomani della notizia di rottura delle relazioni diplomatiche tra Riyadh e Teheran e alla luce della reazione iraniana sfociata nella condanna a morte dell’influente predicatore sciita Nimr al-Nimr. Dopo l’annuncio della rottura da parte del ministro degli Esteri dell’Arabia saudita, il Bahrein ha dichiarato, dal canto proprio, la stessa rottura nelle relazioni diplomatiche con l’Iran, dando tempo 48 ore ai diplomatici iraniani per lasciare il Paese.
A questo punto non resta che attendere dove si fermerà l’effetto domino innescatosi nella regione.
Ester Sbona
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